Coronavirus, l’Università della California dice addio ai test d’accesso standardizzati

Diverse università li hanno già sospesi per un anno causa emergenza sanitaria. Ma l’Università della California ha deciso di archiviarli definitivamente in favore di un sistema di accesso «più equo»

Diverse università li hanno già sospesi per un anno causa emergenza sanitaria. Ma l’Università della California ha deciso di archiviarli definitivamente in favore di un sistema di accesso «più equo»

Il mito americano della meritocrazia in purezza aveva già subito un duro colpo l’anno scorso con lo scandalo delle tangenti pagate dai vip per far entrare a suon di dollaroni i propri figli – spesso somari – nelle più prestigiose università americane. Ma ci voleva il coronavirus per smontare un altro pezzo, portante, del sistema di selezione darwiniana dei college Usa: i test standardizzati. Le sessioni primaverili ed estive dei test Sat e Act sono già state cancellate, causa pandemia. Per quelle autunnali si profila l’ipotesi di una prova online, che avrebbe però lo svantaggio di non dare nessuna garanzia contro copiature e imbrogli vari. Risultato: diverse università, anche del circolo super esclusivo dell’Ivy League come Harvard, Princeton, la University of Pennsylvania e la Cornell University, hanno preso atto della situazione e deciso di togliere in via eccezionale i test dai requisiti per l’ammissione del prossimo anno. Ma quella che finora è solo una misura straordinaria dettata dall’emergenza, potrebbe diventare la campana a morto per il sistema dei test se qualcun altro decidesse di seguire la strada imboccata dalla Università della California che, giovedì 21 maggio, con una decisione senza precedenti, ha deciso di cancellarli del tutto almeno fino al 2024. Poi si vedrà: o nel frattempo riusciranno a mettere a punto un proprio sistema di test «meno iniquo» – così han detto – dei contestatissimi Sat o li toglieranno definitivamente di mezzo.

Merito o selezione darwiniana?

La battaglia contro i test standardizzati va avanti da anni. Secondo i suoi detrattori il sistema dei quiz a crocette, dietro la pretesa dell’obiettività formale, finirebbe invece per accentuare ulteriormente il già drammatico svantaggio degli studenti più poveri che non possono permettersi di pagare costossissimi tutor per prepararsi ai test. Non sorprende che la decisione di farli fuori sia stata presa per prima da un’università pubblica e non privata com’è appunto quella della California. E che a spingere in questa direzione sia stata la presidente dell’Università Janet Napolitano, democratica doc, già membro dell’Amministrazione Obama. Da quando nel 1996 lo Stato della California ha votato contro l’affirmative action (cioè contro le misure di discriminazione positiva in favore delle minoranze), l’accesso all’università per neri e ispanici ha subito una drammatica battuta d’arresto: attualmente gli afroamericani iscritti all’Università della California non raggiungono il 4 per cento e gli ispanici – che rappresentano il gruppo maggioritario della California con il 40 per cento degli abitanti – sono fermi al 22. Difficile dire se l’eliminazione dei test basterà a garantire una maggiore mescolanza etnica. Anche se il precedente dell’università di Chicago, che già due anni fa ha reso i test opzionali, è abbastanza incoraggiante: l’anno scorso la percentuale di matricole di origine immigrata o provenienti da famiglie a basso reddito è aumentata di un quarto e quella degli studenti provenienti da aree rurali del 56%.

corriere.it

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