A Giuseppe “Uccio” Barone, coinvolto nella “concorsopoli” dell’ateneo il compito di studiare “i moti europei del 1820 nel corso dei quali la Sicilia ha rivendicato l’indipendenza”
Il decreto è arrivato l’ultimo giorno dell’anno scorso. E porta la firma del presidente della Regione Nello Musumeci. Giuseppe “Uccio” Barone, il docente travolto dallo scandalo Concorsopoli all’università di Catania, ha ricevuto un incarico da 12mila euro lordi per studiare “i moti europei del 1820 nel corso dei quali la Sicilia ha rivendicato l’indipendenza, l’affermazione dell’autonomia e il ripristino della Costituzione del 1812” e ricavarne un volumetto che Palazzo d’Orléans si riserva di pubblicare.
Barone, ex ordinario di Storia contemporanea al dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’università di Catania, è fra gli indagati per l’inchiesta della procura etnea: suo figlio, Antonio, avrebbe ottenuto la cattedra di Diritto amministrativo proprio per effetto di quel sistema, nonostante le perplessità del mondo accademico registrate dalle intercettazioni (per l’ex direttore generale Lucio Maggio, ad esempio, “non è che il figlio di Barone è un genio… tutt’altro”). Per questa storia Barone è stato prima sospeso e poi – dopo la revoca della sospensione – è andato in pensione.
Nessun cenno a queste vicende, ovviamente, nel decreto del 31 dicembre: Barone viene presentato solo come un ex docente dell’ateneo catanese. Barone, che nel suo curriculum ancora pubblicato sul sito dell’università di Catania rivendica la propria esperienza come “studioso dell’Italia liberale” e ricorda di aver “pubblicato studi sulla Sicilia e sul Mezzogiorno, occupandosi delle trasformazioni del territorio in seguito ai progetti di bonifica in età giolittiana e, più di recente, di temi relativi all’unificazione istituzionale dei Regni di Napoli e Sicilia dopo il Congresso di Vienna, al Risorgimento e alla transizione dal Regno delle Due Sicilie allo Stato unitario, alla Grande Guerra, al fascismo e alle sue ripercussioni sull’Italia meridionale”, avrà quattro mesi di tempo per approfondire l’argomento e consegnare la ricerca. Nonostante le polemiche. E nonostante un’inchiesta.
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