Drop out in un contesto sportivo: in cosa consiste e quali sono i fattori scatenanti

La pratica sportiva e, più in generale, l’attività fisica rappresentano un fattore di crescita per l’individuo, un insieme di stimoli prevalentemente positivi volti a plasmare la figura umana in tutte le sue sfaccettature. Essendo evidente come essa possa giocare un ruolo fondamentale nella trasmissione di valori positivi, nell’assunzione di uno stile di vita sano, nonché nella lotta a patologie moderne quali la sedentarietà o l’obesità, giusto per citarne alcune, la pratica sportiva è divenuta nel corso degli anni un importante oggetto di studio, soprattutto in relazione ai più giovani. Dati Istat descrivono come, dal 2013 ad oggi, l’atteggiamento degli Italiani nei confronti della pratica sportiva sia mutato. I numeri dei praticanti sono infatti aumentati in maniera considerevole in tutte le fasce d’età, in entrambi i generi e in tutte le Regioni italiane, a dimostrazione di una maggior consapevolezza sul ruolo che lo sport (o l’attività fisica) possono ricoprire nel facilitare il naturale processo evolutivo. In base a quanto rilevato, infatti, la percentuale di Italiani, sopra i 3 anni d’età, che dichiara di praticare sport con continuità nel proprio tempo libero ha raggiunto il 25,1%. Aggiungendo poi chi pratica sport saltuariamente si arriva al 34,8%, percentuale cresciuta di 4,2 punti tra il 2013 ed il 2016 (1,4 punti di media all’anno). Da queste indagini statistiche, si evince, inoltre, che la fascia di età con un maggior numero di soggetti che praticano attività sportiva in maniera continuativa sia quella tra i 6 e i 10 anni, con un 59,7%, a differenza di quanto invece avveniva nel biennio 2013/2014, in cui la fascia più attiva risultava essere quella tra gli 11 e i 14 anni. Mai nel nostro Paese erano stati raggiunti livelli così elevati come quelli riscontrati nel corso del 2016, tuttavia non bisogna distogliere l’attenzione dal fenomeno del “drop out” giovanile, vale a dire l’abbandono prematuro della pratica sportiva, in quanto tuttora rappresenta una minaccia per il benessere della nostra società. Nonostante infatti in tutte le fasce di età si siano riscontrati significativi aumenti della pratica sportiva tra il 2013 ed il 2016 (in particolare +5,8% tra i 6 e i 10 anni, +6,4% tra i 15 e i 17 anni, +7,1% tra i 18 e 19 anni), alcuni studi sembrano aver rilevato un crescente “disagio” che investe la nostra gioventù, specie nelle realtà urbane. Vari sono i segnali di “intolleranza” dei giovani e dei giovanissimi verso il sistema sociale, verso il sistema scolastico e per vari aspetti anche verso il sistema sportivo, troppo spesso incapaci di rispondere alle reali esigenze dei protagonisti perché basati su paradigmi ad impronta d’adulto.
Negli ultimi 30 anni sono stati diversi gli autori che hanno cercato di analizzare le varie sfumature del fenomeno dell’abbandono, ed oggi, grazie a questi preziosi contributi, si ha una visione più chiara del perché questo accada. Innanzitutto, però, è bene tenere a mente che esistono due diverse forme di abbandono: volontario ed involontario. Relativamente all’abbandono volontario, si possono evidenziare due sottotipi (Petlichkoff, 1992), il primo dei quali consiste nella scelta di privilegiare altri impegni (familiari, scolastici, professionali) e nel dirottare, conseguentemente, il proprio interesse nei confronti di altre attività. Il secondo sottotipo concerne, invece, l’abbandono in seguito ad una eccessiva pressione esercitata sull’atleta da genitori, allenatori, o più semplicemente dalla gara stessa. Quest’ultima forma di abbandono volontaria si caratterizza per una forte insoddisfazione che in alcuni casi può portare il soggetto al “burnout”, lento e progressivo processo di esaurimento psicofisico, o a nutrire risentimento nei confronti dell’attività sportiva e fisica più in generale. Passando invece all’abbandono involontario, numerosi studi hanno sottolineato come in alcuni casi esso sia dovuto a qualcosa al di fuori della semplice volontà del singolo (Sarrazin e Guillet, 2001), basti pensare agli infortuni o alla mancanza di risorse, intese quali mancanza di mezzi finanziari o di ambienti idonei a praticare sport. Una volta fatta questa distinzione, è opportuno andare più nello specifico nel ricercare le cause di questo abbandono, e soffermarsi su quanto conduce l’età adolescenziale, notoriamente la fascia di età che presenta i dati più allarmanti, ad un drop out volontario e controllato. A tal proposito, è possibile distinguere quattro macrocategorie di fattori scatenanti: socio-economici, personali, psico-sociali ed infine quelli legati all’attività in sé. Tra i fattori socio-economici è possibile annoverare: il basso reddito familiare, la bassa scolarizzazione dei genitori, l’elevata dedizione allo studio, l’assenza di contatto con soggetti qualificati del settore, la cattiva gestione del tempo e degli impegni (il 56,5% di soggetti di scuola secondaria annovera tra i fattori chiave del proprio abbandono, l’eccessivo impegno richiesto dallo studio). Nella seconda macrocategoria, così come da classificazione riportata poco sopra, rientrano invece: l’orientamento motivazionale dipendente dal contesto, la pigrizia (il 24,4% dei soggetti ha inserito il “troppa fatica” tra i motivi dell’abbandono), l’attitudine alla pratica sportiva, il senso di insicurezza del soggetto, la mancanza di divertimento durante la pratica. Terza macrocategoria, come evidenziato in precedenza, risulta essere quella riguardante i fattori psico-sociali, nella quale possiamo sottolineare le pressioni familiari, l’avere amici che non frequentano gli stessi contesti sportivi, la difficoltà nel rapporto con i compagni (come sottolineato dal 28,7% dei soggetti), lo stile eccessivamente autoritario dell’allenatore con conseguente  mancanza di dialogo (cruciale per il 19,4% degli intervistati), nonché la pressione esercitata dall’avere i genitori che in passato rivestivano il ruolo di atleti di alto livello. Ultimo insieme di fattori, secondo quanto evidenziato attraverso la letteratura scientifica dell’ultimo decennio, è quello legato all’attività in sé. In quest’ultimo caso, le cause più frequentemente scatenanti l’abbandono della pratica sportiva sono: monotonia degli allenamenti e conseguente mancanza di stimoli (il 65,4% degli intervistati lo ha annoverato tra le cause scatenanti il drop out), ansia agonistica, livelli di competitività esasperati, costi eccessivi, orari scomodi, difficile accessibilità agli impianti sportivi.
La raccolta dei dati sopra riportati, i quali rappresentano solo una piccolissima parte tesa a far luce su un fenomeno tanto complesso quanto degno di attenzione, non deve limitarsi a fornire una visione del fenomeno fine a se stessa, ma deve rappresentare lo spunto da cui partire per analizzare il contesto in cui il drop out si colloca. Solo in questo modo è possibile fornire delle risposte e talora anche delle contromosse che riescano ad arginare il disagio e l’intolleranza che sono alla base dell’abbandono. Tanto è stato fatto in questi anni a tal proposito, e i dati ne sono una dimostrazione, ma tanto ancora può essere portato a termine al fine di diffondere tra la società uno stile di vita sano che faccia dell’attività fisica le sue fondamenta.
Luca Rossini

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