Più autonomia e più responsabilità. Può essere riassunto così il piano università e ricerca della prossima legislatura. Per decodificare i cinque punti del programma che ne rappresentano le fondamenta – punti in verità un po’ astrusi – abbiamo interpellato Giuseppe Valditara, già senatore di Alleanza Nazionale, rieletto il 13 aprile a Palazzo Madama nella formazione di Berlusconi, ordinario di istituzioni di diritto romano all’Università degli Studi di Torino, stretto collaboratore di Letizia Moratti nella stesura della riforma del 2005 e responsabile istruzione del Pdl.
L’obiettivo delle “Fondazioni associative” che il nuovo Governo intende istituire, spiega Valditara, è quello di “mettere le università nelle condizioni di beneficiare di fondi privati come avviene nei Paesi anglosassoni”. In sostanza, incentivare gli investimenti di soggetti privati, a cominciare dalle imprese, consentirebbe di facilitare lo svolgimento di attività imprenditoriali da parte degli atenei, trasformati così in “fondazioni”, e di renderli più responsabili, secondo il principio ‘migliori risultati, maggiori finanziamenti’”.
Questo progetto si accompagna con quello della progressiva defiscalizzazione degli stanziamenti (altro punto chiave del programma), che dovrebbe incoraggiare il mondo aziendale e la società italiane a puntare, anche economicamente, sulla ricerca universitaria. Il tutto nell’ottica di una crescente competitività tra atenei (secondo punto), la cui qualità, puntualizza Valditara, va valutata attraverso un nuovo sistema, più snello dell’ANVUR e maggiormente focalizzato sui risultati della ricerca e della didattica, da giudicare in base a parametri precisi.
Complesso il meccanismo del “Fondo dei Fondi” a cui il programma, citando il modello francese, fa riferimento. Vengono definiti da Valditara “aggregazione di soggetti finanziari che si mettono insieme per sovvenzionare ricerche nella speranza che si concretizzino in brevetti o comunque in ricerca applicata così da generare guadagni”. E ancora sul guadagno e sulla qualità scommette il piano delle “cittadelle della cultura”, piccoli centri universitari che svolgono ricerche di qualità legate a particolari caratteristiche territoriali. Il senatore fa l’esempio dell’Università di Calabria che si è distinta per i suoi studi sul cedro e il bergamotto, prodotti tipici della Regione. Queste realtà verranno premiate sul fronte dei finanziamenti.
E per quanto riguarda le facoltà umanistiche e le università che si trovano in Regioni meno vivaci dal punto di vista imprenditoriale? Lo Stato risponderà attraverso piani finanziari concordati con i singoli atenei con l’obiettivo, prima di tutto, di risanare al più presto il dissesto economico che paralizza tante università italiane.
Numerose le questioni fondamentali che sembrerebbero tagliate fuori dal programma, ma la speranza è che nel piano di realizzazione di questi grandi progetti sia implicita la previa risoluzione dei vecchi problemi. Perché nessun nuovo edificio (o cittadella) può essere costruito su fondamenta traballanti.
Anna Di Russo
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