Cos’erano i manicomi, chi erano i matti, quelli naif cantati da De Gregori, chi erano i Dino Campana o le Alda Merini ma anche tanti semplici poveracci forse soltanto bisognosi d’affetto e non di scariche di watt.
Di questo racconta Ascanio Celestini nel suo spettacolo “La pecora nera – elogio funebre al manicomio elettrico” in programma venerdì 13 giugno alle 22 al Villaggio Globale a Roma, con l’organizzazione di Rioni Sonori.
La trama è come sempre ingarbugliata e contorta. I nomi si fondono ma l’atmosfera della clausura degli istituti viene resa a meraviglia. Dolore e risate scaramantiche, esorcizzanti. Si ride molto, forse troppo per il tema proposto. I “favolosi anni ’60” e “Sapore di mare” tornano come marea.
Ma l’indagine di Celestini attraverso tre anni di laboratori in giro per l’Italia in luoghi vicini a strutture manicomiali prima della 180 del ’78, tra cui appunto Scandicci per la vicinanza con Castelpulci, diviene pretesto non per raccontare la verità, non per ricostruire le storie di cronaca ma per divagare, per giocare con la bravura e le parole, per creare una sorta di fiction romanzata su fatti realmente accaduti.
Il prodotto finale è capace di trascinare ora in una valle di lacrime stizzite e vagamente borghesi, come di far sghignazzare anche i più acuti intellettuali. Ma non viene raccontata la storia del manicomio, anche perché sarebbe un’impresa impossibile ed indecente.
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