Non ci sarà una riforma complessiva dell’Università. A differenza del mondo scolastico cui si sta lavorando con una riforma strutturale che prova a darne una nuova visione, per il mondo accademico previsti interventi di aggiustamento. “Stiamo pensando ad un modello di università più snello ed autonomo” ha dichiarato a Corriereuniv Francesca Puglisi, responsabile scuola della segreteria nazionale del PD. “Vorremmo dare agli atenei maggiore autonomia e togliere dei vincoli, anche su aspetti amministrativi, per snellire l’attività burocratica delle segreterie: dall’acquisto di beni per le nuove sedi, senza l’obbligo di rifarsi alla Consip, alle missioni all’estero, ai limiti di intervento per la formazione del personale. Una sorta di “Sblocca Università” che tenga conto anche dell’esigenza di innovare la didattica e rendere i titoli accademici maggiormente spendibili, ed in linea con le tendenze e le evoluzioni del mercato del lavoro”, ha continuato la senatrice. Il gruppo di lavoro che si è confrontato di recente a Udine, sta lavorando anche a delle idee per semplificare i ruoli all’interno del mondo accademico e per valorizzare la figura del ricercatore.
Un primo segnale è nella legge di stabilità 2016 che lancia un piano straordinario per l’assunzione di mille nuovi cervelli da impiegare negli atenei italiani(un piano ridimensionato rispetto ai 5-6mila di cui aveva parlato il ministro Giannini oltre un anno fa, ndr). Ma la buona notizia è che questo piccolo contingente di giovani cervelli non dovrebbe allungare più le fila già molto ampie dei precari. La manovra presentata da Palazzo Chigi stanzia 55 milioni per il 2016 e 60 milioni a decorrere dal 2017 per l’assunzione di 1.000 ricercatori di tipo b, quelli appunto previsti dalla riforma Gelmini che poi attraverso un percorso di tenure track potranno ambire a salire sul primo scalino della docenza, quello di professore associato. Non è tutto: la bozza della legge di stabilità sblocca anche il turnover per i ricercatori a tempo determinato.
Altro capitolo importante è quello del Diritto allo Studio, con la stigmatizzazione degli studenti che protestano già da diversi anni per non vedersi riconosciuti da “idonei”, il sostegno agli studi previsto in Costituzione. Il numero degli assegnatari è stato infatti inferiore a quello degli idonei, con casi variabili e più o meno virtuosi a seconda delle diverse realtà regionali.
“Il Governo su questo ha mostrato attenzione, assegnando nella legge di stabilità 55 milioni di euro in aggiunta al fondo integrativo statale per il Diritto allo Studio”, rivendica la Puglisi. Basterà? Jacopo Dionisio, coordinatore nazionale dell’Udu, giudica l’intervento insufficiente perché parziale e relativo al solo 2016. Secondo gli studenti le risorse a copertura totale dovrebbero aggirarsi intorno ai 200 milioni, dato dell’osservatorio regionale sul diritto allo studio del Piemonte.
Il cammino verso l’ammodernamento del nostro sistema d’istruzione e più in generale, dell’intera filiera educativa, è lungo e complesso. Partiamo da molti punti di forza e da una tradizione di studi molto solida, specie in alcuni settori, ma deve fare i conti con inefficienze consolidate negli anni e posizioni di rendita che ingessano il sistema e non garantiscono ai nostri giovani quel cambio di passo e di mentalità che rivendicano. Staremo a vedere.
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