Anche le organizzazioni universitarie incrociano le braccia e dicono no al ddl Gelmini. Dopo le proteste dei ricercatori, le stesse organizzazioni indicono una settimana di mobilitazione in tutti gli atenei. Dal 17 al 22 maggio una manifestazione nazionale con tutte le componenti universitarie sarà la risposta agli emendamenti presentati al Senato sul ddl.
“Risulta ancora più evidente – affermano in una nota unitaria una ventina di sigle tra cui Adi, Andu, Confsal, Cisal, Cisl università, Cnru, Flc-Cgil, Snals-Docenti Università, Ugl -Università e Ricerca, Uilpa-Ur – l’intenzione di scardinare il sistema nazionale dell’Università pubblica, concentrando le scarse risorse in pochi Atenei ritenuti eccellenti e ridimensionando il ruolo di tutti gli altri”.
“A livello nazionale, si accentua l’attacco all’autonomia universitaria con l’attribuzione del potere di valutare l’attività del singolo docente a una Agenzia nominata dal Ministro. A livello locale, si aumenta ulteriormente di fatto il potere del Rettore e del Consiglio di Amministrazione trasferendo la competenza disciplinare dal Cun a collegi di disciplina di Ateneo”.
Secondo le organizzazioni universitarie, inoltre, si aumenta la differenza tra gli ordinari e gli associati, “nell’ambito di un modello che sarà sempre più costituito da pochi docenti di ruolo e da una base amplissima di precari, in presenza di funzioni di docenza svolte e non riconosciute”.
Il Ddl – proseguono – “modifica la natura stessa dell’Università sottraendole il ruolo di sede principale della Ricerca: non è un caso che non si affrontino la questione dei ricercatori e quella dell’accesso delle nuove generazioni”.
“Contro questo progetto – concludono – è necessario che la società civile e il mondo universitario (professori, ricercatori, precari, dottorandi, tecnico-amministrativi, studenti) si mobilitino compatti”.
Per questo le organizzazioni universitarie invitano a convocare assemblee di Facoltà e di Ateneo, chiedono agli organi accademici di pronunciarsi sul provvedimento e propongono ai professori e ai ricercatori di protestare contro il Ddl anche attraverso la rinuncia a ricoprire ogni incarico didattico aggiuntivo “come hanno già cominciato a fare soprattutto i ricercatori in tante sedi”.
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