Polemiche per la pubblicazione della frase sul sito dell’istituto. Il provveditore: «Mi dispiace»
Le scuole ormai si fanno pubblicità come se l’«offerta didattica» fosse un fustino di detersivo. È la concorrenza, bellezza.
Aule come corsie del supermercato. Ma l’insegnamento non è una «merce» qualsiasi. I presidi dovrebbero saperlo. E quindi dare un’occhiata ai «Rav» dei propri istituti prima di renderli pubblici in rete. Cos’è il «Rav»? Si tratta del «rapporto di valutazione» che una – quantomai discutibile – normativa impone di diffondere online sul sito scolastico. Peccato che nel «Rav» a volte finiscano considerazioni del tutto inopportune, dando l’impressione di apparire perfino discriminatorie. Il che, per una scuola, non è affatto un bel esempio di educazione.
La gaffe (chiamiamola così, per non dire peggio) tendono a farla in parecchi: da quel liceo romano che si descrive orgogliosamente come un «plesso per studenti alto-borghesi e senza disabili» a quell’altro istituto della Capitale che rivendica come titolo di merito il fatto di «accogliere alunni appartenenti a famiglie del ceto medio-alto», marcando la differenza con la scuola vicina che invece «accoglie alunni di estrazione sociale medio-bassa e conta, tra gli iscritti, il maggior numero di alunni con cittadinanza non italiana».
Pochi giorni fa la stessa «gaffe» l’ha ripetuta un istituto comprensivo di Firenze che si è vantato del suo «contesto socio economico medio alto con un background familiare tendenzialmente alto». Entrando poi nello specifico antropologico-professionale dei genitori degli alunni: «Si tratta per lo più di liberi professionisti, settore terziario e commercianti». Ma il «meglio» arriva dopo: «Risulta zero la percentuale di genitori disoccupati in tutti gli ordini di scuola. L’incidenza di studenti con cittadinanza non italiana è di 51 alunni, dunque minimo. Non sono presenti studenti nomadi, risulta invece un esiguo numero di studenti provenienti da zone particolarmente svantaggiate».
Ma se il «Rav» serve a scrivere queste scemenze, perché non lo aboliamo? Sul punto sembra essere d’accordo anche la neo ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, la stessa che, pare, abbia copiato sul web parte della sua tesi di laurea: «Non ha senso, la scuola dovrebbe sempre operare per favorire l’inclusione». Intanto il provveditore di Firenze, Roberto Curtolo, interpellato dal Corriere della Sera, offre una soluzione da grande burocrate: «Mi dispiace. Sono dell’opinione che dovrebbero essere elaborati due documenti. Il primo, con tutte le statistiche previste dalle normative, interno alla scuola che ha l’obbligo di conoscere anche lo status sociale dei propri iscritti per programmare al meglio gli interventi didattici e pedagogici. Il secondo, privo di dati che possono essere mal interpretati, pubblico per garantire la trasparenza dell’istituto».
Due «Rav» al prezzo di uno. Come per i fustini di detersivo.
ilgiornale
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