Intervista alla ministra dell’Università. Messa: “Borse di studio maggiori per le ragazze che scelgono corsi STEM e orientamento dalla terza superiore”

E sul modo per combattere la piaga dei neet il mondo accademico non deve tirarsi indietro: “Il sistema universitario deve essere più corrispondente al mondo del lavoro”

La ministra dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, in un’intervista esclusiva rilasciata a Corriereuniv.it in occasione dell’annuale edizione delle guide di orientamento per gli studenti alla scelta della formazione post maturità.

Ministra Messa, la scelta degli studi post diploma è sempre stata un po’ il rompicapo di moltissimi studenti. In questo, non aiuta il numero enorme di Corsi di Laurea proposti dagli atenei italiani. Da dove si comincia?

Scegliere cosa studiare dopo il diploma è una delle decisioni più delicate, impegnative e determinanti insieme. Ognuno si presenta a questo appuntamento con il proprio bagaglio fatto da indole, personalità, cose imparate sui banchi di scuola e nella vita di tutti i giorni, di esperienze fatte, di storie ascoltate. Ciò su cui stiamo lavorando sono tanti aspetti che coesistono in questa scelta. Stiamo lavorando per fare in modo che la decisione arrivi al termine di un percorso di accompagnamento che possa partire almeno dalla terza superiore e che combini elementi di autovalutazione con le nozioni didattiche. Abbiamo aumentato il numero e l’entità delle borse di studio, soprattutto per i fuori sede e per le ragazze che scelgono corsi di laurea in materie STEM per fare in modo che la scelta di cosa studiare sia il più possibile svincolata dalle disponibilità economiche delle famiglie. E stiamo lavorando per garantire ai giovani strumenti agili che consentano loro di conoscere l’intera offerta a disposizione senza perdersi in questa scelta.

Negli ultimi anni c’è stata una riduzione degli iscritti all’università, probabilmente per le difficoltà economiche delle famiglie italiane, ma forse, anche per l’alto tasso di disoccupazione giovanile che non esclude i laureati. Quali sono le misure in campo e quelle allo studio per contrastare il fenomeno?

L’università italiana ha registrato un’inversione di tendenza lo scorso anno, con un aumento consistente di nuove immatricolazioni pari al 5 per cento. Incremento che non si è confermato in questo anno accademico, con un numero di iscritti che, però, si è attestato sui valori dell’anno accademico 2019/2020. Di certo, uno dei temi riguarda l’attrattività della laurea nei confronti dei giovani e della sua valorizzazione da parte del mondo del lavoro, sia privato sia pubblico. Sono aspetti sui quali stiamo intervenendo sia aumentando le
risorse, in particolare per il diritto allo studio, per borse e alloggi universitari grazie a fondi europei legati al
PNRR, ma anche nazionali attraverso la legge di bilancio, sia semplificando e riformando percorsi e strumenti. Vedremo nei prossimi anni se le ricette proposte, come speriamo, daranno frutti stabili nel tempo e sapranno far crescere il numero di giovani che decide di proseguire con gli studi universitari.

Quali sono i punti principali di queste riforme?

Il pacchetto di riforme è ampio, con obiettivi a breve e medio-lungo termine, per rendere il sistema della formazione superiore e della ricerca più flessibile, più interdi sciplinare, più attrattivo sia nei confronti degli studenti sia verso ricercatori, docenti e anche investitori. Una prima importante novità riguarda le lauree abilitanti. Per facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro a giovani professionisti, la riforma prevede di effettuare il percorso di tirocinio durante gli anni di studio universitario, facendo coincidere l’esame di Stato con il conseguimento dell’abilitazione professionale con la discussione di laurea.

È stato poi abolito definitivamente un divieto che esisteva dal 1933, consentendo ai giovani di poter deciderese iscriversi contemporaneamente a più corsi di laurea insieme, dando sostanza e concretezza al concetto di interdisciplinarità, puntando a formare nuove figure professionali in grado di affrontare problemi complessi. Attualmente stiamo lavorando sulla riforma delle classi di laurea e ripensando l’orientamento, quest’ultimo anche per cercare di ridurre quanto più possibile il numero di abbandoni universitari, attraverso corsi specifici dalla terza superiore, per accompagnare gli studenti nella scelta del corso, facilitando una migliore corrispondenza tra preparazione personale e percorso professionale.

In Italia pochi ragazzi scelgono le materie scientifiche, le cosiddette Stem, si è spiegata la ragione, e cosa potremmo fare per incentivare nel Paese questi studi?

Credo che sulla scelta o meno di materie STEM si combinino diversi fattori, dalle attitudini ai sogni, dalle capacità che uno pensa di avere ai pregiudizi che ci portiamo dietro. Io conto molto, ora, sulla possibilità data dalla riforma della doppia laurea combinata con una maggiore flessibilità nella costruzione dei corsi: ragazzi e soprattutto ragazze potranno avere un po’ meno timore o resistenza a lanciarsi in corsi di informatica, ingegneria, scienze, matematica sapendo di poter inserire nei propri piani di studio materie anche molto diverse come filosofia, storia, antropologia. Mi auguro che tra cinque anni potremo tracciare un bilancio positivo di quanto stiamo seminando. Se, poi, guardiamo al mondo STEM zoomando sulle ragazze, abbiamo messo in campo ulteriori strumenti di supporto, come l’aumento del 20% del valore delle borse di studio per coloro che, avendone diritto, studiano materie scientifiche. 

Crede ci siano delle caratteristiche e delle conoscenze di base indispensabili per gli studi scientifici o sono aperti a chiunque, indipendentemente dalla scuola secondaria alle spalle?

Non c’è alcuna preclusione, su questo dobbiamo essere estremamente chiari con i giovani. Quello che fa la differenza, non solo nelle discipline scientifiche, sono l’impegno, la convinzione, la persistenza nello studio. E la conoscenza di se stessi.

Lei è laureata in Medicina, cosa ha acceso la sua motivazione verso questa scelta, verso questo percorso?

Sicuramente l’influenza paterna – un medico mancato perché non poteva permettersi gli studi – ha giocato un ruolo forte. Fin da bambina, quindi, il mio desiderio è sempre stato quello di studiare per diventare medico ed esercitare questa professione. Non ho mai cambiato idea e se tornassi indietro rifarei lo stesso percorso.

In Italia abbiamo oltre 3 milioni di Neet, ragazzi che non studiano, non lavorano e non si formano. Un fenomeno odioso a cui i vari Governi non hanno mai dato risposte concrete. Cosa suggerirebbe ad un giovanissimo alle prese con il proprio progetto di vita, per non incorrere nelle stesse difficoltà?

Compito del mio Ministero è quello di dare delle opportunità ai giovani nel perseguire e realizzare i propri sogni. A un ragazzo che non studia e non lavora direi che stiamo provando a cambiare il sistema universitario per renderlo più corrispondente alle richieste che arrivano dal mondo del lavoro, più attrattivo e più a misura dello studente di oggi, che è cresciuto nel mondo digitale, ha visto e vissuto gli effetti devastanti di una pandemia e ora si trova a dover affrontare gli effetti di una guerra nel cuore dell’Europa. 

Mariano Berriola

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