Inutile nascondersi dietro un dito: l’abolizione del valore legale del titolo di studio, in via di definizione per decreto dal Consiglio dei ministri, di fatto già esiste. Non si tratta di una conquista in nome della meritocrazia, quanto piuttosto della messa nero-su-bianco della realtà. Insomma: i titoli accademici conseguiti in Italia (sulla carta formalmente uguali) non hanno tutti lo stesso peso e l’ateneo di provenienza – molto spesso – in sede di colloquio agli occhi dei selezionatori conta più del voto di laurea.
Il Messaggero di Roma dedica ampio spazio a questo tema, analizzando lo stato dell’arte insieme a due esperti. Secondo il pedagogista Benedetto Vertecchi: “La politica del governo spinge verso un’abolizione di fatto. Lo Stato dovrebbe garantire la qualità degli studi ma agisce in senso contrario con tagli alla ricerca e agli investimenti in generale. Così lo Stato non garantisce nulla e il titolo decade di per sé. Eppure il valore non dovrebbe essere formale ma sostanziale“.
Quanto al raffronto con altri paesi, spiega Vertecchi “nei Paesi di cultura anglosassone, Gran Bretagna e Usa in testa, il valore legale non c’è, però esiste un sistema universitario completamente diverso, con poche università al top, molto celebrate, che fanno ricerca, e una miriade di atenei che fanno solo teaching, di basso livello, come da noi. Non a caso – sottolinea – le università di qualità elevata, come Harvard sfornano premi Nobel. Noi abbiamo lo stesso sistema? No, perciò l’abolizione avrebbe solo l’effetto di alzare nuovi steccati tra chi può andare nelle università con rette alte e chi non può permetterselo. Il guaio – conclude – è che di questo argomento si parla sempre con grande approssimazione”.
L’economista Giacomo Vaciago, andando al nocciolo della questione, fa una doverosa premessa: “Se per valore legale intendiamo il conseguimento del titolo nel rispetto della legge, allora è ora di ripristinarlo. Se, invece, per valore legale intendiamo quei privilegi che derivano, soprattutto nel pubblico, dal ‘pezzo di carta’, dall’essere laureato e basta, allora va abolito subito”.
Secondo Vaciago, il titolo di studio non ha un valore intrinseco: “I titoli non sono tutti uguali ed è un’utopia pensare che da Canicattì alla Valle d’Aosta le università siano tutte uguali. Il dramma italiano è che il 110 preso al Politecnico di Milano o nello sconosciuto ateneo del Sud sono la stessa cosa”.
“Le aziende, le istituzioni, tutti – indica quindi l’economista – dovrebbero accertare cosa sa un candidato ad un certo incarico. Le lauree non sono tutte uguali. Ma c’è un altro aspetto, ancora poco considerato. Quanto tempo vale un laureato? A mio parere dopo dieci anni scade. Il sapere evolve così rapidamente che una laurea presa anni addietro si svaluta. Un ingegnere del ’56, per esempio, se non ha continuato a studiare oggi è un pezzo di antiquariato”.
Manuel Massimo
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