Yara Hammoud e Vittorio Giordano sono i primi laureati nell’orientamento “Climate Change” del corso di laurea magistrale in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio del Politecnico di Torino. Yara, studentessa libanese dell‘American University, ha discusso una tesi sulla modellazione del ruolo della criosfera nella definizione della temperatura a terra nell’area alpina caratterizzata dal permafrost. Ad accompagnarla come relatori il professor Jost von Hardenberg e due relatori esterni di ARPA Piemonte, il dottor Christian Ronchi e il dottor Luca Paro. Vittorio, invece, ha discusso una tesi sulle prospettive future dell’impronta idrica delle coltivazioni nel continente Africano, con il supporto in qualità di relatori dell’ingegnera Marta Tuninetti e del professor Francesco Laio.
Il corso innovativo in “Climate Change”
L’orientamento in “Climate Change” è parte integrante del progetto cambiamenti_climatici, finanziato dal MUR che ha riconosciuto il DIATI tra i “Dipartimenti di Eccellenza” che hanno ottenuto fondi straordinari per il quinquennio 2018-2022. Il progetto ha visto ingenti investimenti per il potenziamento delle attività e delle infrastrutture di ricerca sugli aspetti del monitoraggio, dell’adattamento e della mitigazione dei cambiamenti climatici. In ambito di formazione, oltre al nuovo orientamento della Laurea Magistrale, a gennaio 2020 è stato lanciato un master post laurea su questi temi, con un forte partenariato con il mondo industriale e dei servizi.
L’orientamento, è interamente offerto in lingua inglese, divenendo così il primo corso di ingegneria in Europa dedicato ai cambiamenti climatici, con l’obiettivo di preparare una nuova generazione di ingegneri e ingegnere ambientali capaci di rispondere alle sfide ambientali e sociali che derivano dai cambiamenti climatici, e di cogliere le opportunità del futuro mercato del lavoro.
Lo studio sul permafrost alpino
“Come scienziati e ingegneri è nostro dovere guidare la transizione verso un futuro sostenibile contro tutti gli impatti intra e intergenerazionali dei cambiamenti climatici sull’ambiente, sull’economia e sulla società”, dichiara Yara a Corriereuniv. “Ho scelto di seguire la mia laurea magistrale al Politecnico di Torino nel percorso sui cambiamenti climatici, sapendo che questo programma è il primo nel suo genere in Europa che prepara gli ingegneri a gestire le questioni ambientali legate ai cambiamenti climatici”.
Il suo lavoro di ricerca di studio dei “processi termodinamici che regolano i cambiamenti della criosfera, che a sua volta permette di definire la temperatura della superfice terrestre” è stato affettuato con simulazioni che utilizzano il modello idrologico GEOtop, in una località delle Alpi italiane coperta da permafrost. “I motivi alla base della ricerca derivano dai drastici impatti che i cambiamenti climatici inducono sul permafrost – afferma Yara – inclusi degrado e l’aumentare della profondità dello strato attivo”.
“La degradazione del permafrost rappresenta uno dei più significativi impatti in area alpina dei cambiamenti climatici in atto e la modellistica numerica del manto nevoso rappresenta uno strumento fondamentale per la comprensione del fenomeno e per sviluppare proiezioni di scenario future”, ha dichiarato il professor Jost von Hardenberg. E Yara vuole continuare il suo lavoro in Italia: “Questo Paese è in prima fila su questo tema e credo di poter acquisire una preziosa esperienza iniziando qui la mia carriera lavorativa”.
L’impatto sulle riserve idriche dell’Africa
“Nel momento di definire l’argomento della tesi – dichiara Vittorio a Corriereuniv – mi sono accorto di una particolare convergenza di problematiche sul continente africano. Gli impatti del cambiamento climatico si prevede che saranno più intensi alle basse latitudini e, in particolare, in zone come il Sahel, una zona già duramente colpita da siccità variabilità climatica. Questa zona, dove i sistemi socioeconomici subiscono già diverse pressioni, è definita un hotspot climatico, ovvero una zona dove gli effetti della crisi climatica saranno particolarmente concentrati e accentuati”.
“Inoltre – continua Vittorio – se la domanda di prodotti alimentari è destinata a crescere globalmente, l’incremento si prevede particolarmente accentuato in Africa, continente che mostra la più elevata percentuale di persone che soffrono la fame, la quale, dopo anni di stabilità, è nuovamente aumentata sotto l’ombra della pandemia di covid 19”. Una degli argomenti principali discussi alla recente COP26 di Glasgow. “Migliorare quantità e qualità delle produzioni agricole, garantendo l’adattamento sostenibile ai cambiamenti climatici, rappresenta una delle grandi sfide globali per favorire la transizione ecologica – precisa l’ingegnera Marta Tuninetti con riferimento alla tesi di Vittorio.
Come si combatte il “Climate Change”
“Alla COP26 si è raggiunto un accordo tra più di cento paesi per una riduzione del 30%, ma oltre a non essere un obiettivo sufficiente – afferma Vittorio – l’efficacia dell’accordo è limitata dalla mancanza di tre tra i principali emettitori di metano: Russia, Cina e India“. E ancora. ” “Per rimanere in linea con l’obiettivo dell’aumento di temperatura di 1,5°C entro fine secolo, la riduzione dei gas serra, e in particolare del metano (- 40%), entro il 2030, e il loro azzeramento entro il 2050 è fondamentale“.
Della stessa opinione Yara: “Gli impegni raggiunti promettenti ma ancora insufficienti per ottenere un riscaldamento tollerabile in futuro. Una delle azioni principali è far mantenere questi impegni e che le nazioni che li hanno sottoscritti li attuino davvero”. E il rischio sul greenwashing, la pratica di volersi presentare solo di facciata a favore del politiche green, è dietro l’angolo. “Va riconosciuto ai paesi vulnerabili il merito di aver sollevato la questione delle responsabilità storiche e differenziate della crisi climatica – continua Vittorio – ma Europa e Stati Uniti si sono voltati dall’altra parte, rinunciando a prendere impegni netti e a stanziare fondi per mitigazione, adattamento e perdite e danni”.
“Il cambiamento climatico è il problema più arduo da risolvere che l’umanità abbia mai affrontato – afferma Yara -, le cui conseguenze si vedono solo sul lungo periodo. Il cervello umano si naturalmente evoluto per dare priorità ai pericoli imminenti rispetto le problematiche a lungo termine. Questo significa – conclude – che come uomini e donne di scienza il nostro compito non è soltanto fornire soluzioni, ma anche diffondere consapevolezza sulla gravità di questo problema“.
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