La recente riconquista dell’antica città di Palmira, danneggiata nel corso del conflitto siriano, sta richiamando l’interesse e la responsabilità dei ricercatori affinché si possano recuperare siti distrutti o compromessi in contesti di guerra. All’appello non mancano alcuni istituti del Cnr che hanno maturato una forte specializzazione nel settore. Tra questi, l’Istituto per i beni archeologici e monumentali (Ibam – Cnr) che già da tempo opera in contesti mediorientali (Turchia, Iraq e Siria) e fornirà un ‘supporto’ ai Caschi Blu per la cultura, la task force Unit4Heritage, istituita a seguito dell’accordo siglato tra il Governo italiano e l’Unesco per la salvaguardia del patrimonio dell’antica città siriana.
Tra le metodologie che saranno applicate dall’Ibam – Cnr: l’aerofotografia archeologica e il telerilevamento da satellite per la ricostruzione storico-archeologica del sito e per il monitoraggio multitemporale delle evidenze antiche, allo scopo di valutare l’entità dei danni che queste hanno subito nel corso del conflitto. L’esame della cartografia storica e della documentazione fotografica precedente gli eventi fornirà una documentazione unica dello stato del sito e dei monumenti prima della loro distruzione.
Nell’ultimo decennio i Paesi del Vicino Oriente sono stati oggetto di indagine da parte di archeologi, topografi e informatici dell’Ibam nell’ambito di missioni archeologiche internazionali. Le attività di ricerca si sono focalizzate sul recupero, lo studio e l’interpretazione di un ricco dataset di dati telerilevati da piattaforma aerea e satellitare, che comprendono le fotografie aeree scattate negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso dai «pionieri» dell’archeologia aerea Antoine Poidebard e Marc Aurel Stein (recuperate presso archivi storici), le fotografie cosmiche scattate daisatelliti spia USA negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso (recuperate dagli archivi NASA) e, infine, le immagini satellitari ottiche ad alta risoluzione acquisite dai recenti satelliti per uso civile (in particolare Ikonos-2, QuickBird-2, GeoEye- 1, WorldView-2, WorldView-3).
Il risultato di queste ricerche, abbinato alle competenze nel rilievo 3D da laser scanner e nel telerilevamento da drone permetterà di realizzare la necessaria base documentaria per le attività di restauro e per proporre così uno studio ricostruttivo 3D dei monumenti utile a ricomporre l’aspetto originario della città. “La quasi ventennale esperienza maturata dall’Ibam Cnr – dichiara Daniele Malfitana, direttore dell’Istituto – nel campo delle ricerche multidisciplinari applicate al patrimonio culturale soggetto a rischi, potrà così essere messa a disposizione della comunità scientifica internazionale”.
La classificazione dei materiali lapidei impiegati nell’architettura palmirena e l’identificazione delle cave di provenienza di tali materiali è invece il campo di indagine dell’Istituto per la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali (Icvbc-Cnr) che ha partecipato al ‘Progetto Palmira’ dell’Università di Milano, in collaborazione con le competenti autorità siriane, prima che l’occupazione e la guerra civile, iniziata nel marzo 2011, interrompessero gli studi sull’area.
Spiega il direttore Maria Perla Colombini: “Le indagini hanno evidenziato l’impiego di due rocce carbonatiche: un calcare nodulare e una dolomia massiccia. Il primo è stato adoperato come pietra da taglio per elementi monolitici (fusti di colonne fino a 6,8 metri di lunghezza) e decorativi finemente lavorati (capitelli, trabeazioni), ma anche per conci di muratura e per pavimentazioni. La dolomia massiccia è stata invece utilizzata in grandi blocchi squadrati per le fondazioni degli edifici e per la costruzione delle altissime tombe a torre, caratteristica peculiare dell’architettura della città. I diversi sopralluoghi e le indagini petrografiche effettuate hanno confermato la provenienza dei calcari nodulari da alcune cave a nord-est della città romana, mentre la dolomia massiccia proviene da numerosi piccoli affioramenti a occidente della città, in prossimità della Valle delle Tombe”. Il ‘Progetto Palmira’ si propone di effettuare scavi nel settore occidentale della città romana, in cui affiorano solo pochi resti.
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