Vite da Covid, videomaker a Milano: "Ancora incertezza. Ma importante tornare a vivere"

La chiamano già Fase due B quella che si aprirà lunedì 18 maggio con le linee guida del Governo sulle nuove aperture. Si agli amici ma no ai congiunti fuori regione. E se per valicare i confini regionali senza autocertificazione si dovrà aspettare il 3 giugno, molti commercianti e ristoratori hanno già deciso che le saracinesche rimarranno chiuse alle condizioni stringenti dell’ISS e dell’INAIL sulla sicurezza anti contagio.

Il dpcm Governo va verso delle linee guida uniche. Benché si siano già delineati fronti opposti, anche tra governatori dello stesso colore politico come Veneto e Lombardia. Quest’ultima, pesantamente colpita dall’epidemia, ha visto il contagio tornare ad aumentare dopo le prime aperture della Fase due, sia a Milano che in altre province. “La verità è che molti non si sentono sicuri – afferma Federico, giovane regista e videomaker – non c’è un’idea vera di lotta all’epidemia e lo dimostrano i continui ritardi su tamponi e antivirali. La Fase due, al di là delle immagini dei Navigli, non mi sembra abbia portato molte novità o certezze”. Bresciano di origine e milanese di adozione, ha visto di colpo la città spegnersi: “All’inizio mi sono informato così tanto, sia all’estero che in Italia, che mi è venuta la tendinite da smartphone – afferma -. Poi fortunatamente ho cambiato atteggiamento e mi sono educato a pochi appuntamenti; tra cui il fantomatico bollettino delle 18, l’unica cosa che mi dava l’idea dello scorrere del tempo”.

In un periodo di stallo per molte categorie di lavoratori a Federico accade il contrario. A fine febbraio è costretto a lasciare il suo lavoro perché non viene pagato da mesi: è diciamo a partita iva obbligata, risulta come consulente ma in realtà lavora per uno stesso committente non assunto. “L’8 marzo rispondo ad un annuncio su linkedin e il venerdì della stessa settimana faccio il primo colloquio”, ricorda. Ad aprile è assunto in un’agenzia di produzione e informazione. “Di tutte le call che hanno riempito le giornate di molti italiani negli ultimi due mesi posso affermare con certezza: molto meglio la vecchia chiamata per telefono si perde meno tempo – afferma -. E questo non c’entra nulla con lo smartworking che è un’altra cosa”.

Molti hanno discusso sui famosi congiunti e su chi poteva essere visto e chi no. “Quella disposizione non sono riuscito a digerirla – confida Federico -, trovo folle che sia importante chi vedere e non il come vederlo”. In una grande città dove la famiglia, spesso, sono gli amici è difficile conltivare quell’empatia emotiva di cui tutti necessitiamo. “Da un mese personalmente è diventato più importante parlare fisicamente con qualcuno di caro che la paura di prendere il virus prendendo tutte le precauzione del caso – afferma -. Siamo umani, con tutte le accezioni che questa parola porta con se”. E sull’informazione è molto preciso: “Ho letto molte riviste scientifiche e tutte avevano ampiamente previsto la curva del contagio. E ancora una volta si è dimostrato come alcuni governi e paesi sono sempre più preparati di altri o comunque hanno le capacità di rispondere in modo afficace più di altri”.

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