L’Unione Europea chiede di intensificare la lotta alla resistenza agli antibiotici, riducendone l’uso del 20% entro il 2030. Il problema dei batteri “invulnerabili” è presente sin quasi dalla scoperta di questi farmaci. Ne era consapevole lo stesso Alexander Fleming, che nel 1928 ebbe l’intuizione delle proprietà antimicrobiche della penicillina, che gli valse il premio Nobel per la medicina.
La Commissione è convinta che gli obiettivi potranno aiutare a contrastare i cosiddetti superbatteri “tenendo conto delle specificità nazionali senza compromettere la salute e la sicurezza dei pazienti”. Anche il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha ricordato recentemente il tema: “La raccomandazione adottata dal Consiglio Ue costituisce un importante ulteriore strumento nel contrastare le infezioni resistenti agli antibiotici investendo prioritariamente nell’uso mirato e consapevole degli antibiotici, sostenendo la ricerca e promuovendo test diagnostici rapidi e una comunicazione efficace in un contesto One Health (“una sola salute”, l’approccio che riconosce che le problematiche sanitarie di persone, animali e ambiente sono legate tra loro, ndr). Limitare l’uso inappropriato di antimicrobici è infatti cruciale per ridurre le infezioni resistenti sia nell’uomo che negli animali”.
La ricerca contro l’antibiotico-resistenza
Secondo la Dott.ssa Daniela Visaggio, ricercatrice dell’Università degli Studi Roma Tre e vincitrice del bando “Prin” del ministero dell’Università e della Ricerca, c’è anche un’altra strada da percorrere per contrastare la minaccia dell’antibiotico-resistenza ed è quella di sviluppare nuovi farmaci contri i cosiddetti “superbatteri”. “Una strategia non convenzionale consiste nello sfruttare la vulnerabilità nutrizionale dei batteri andando a colpire quei processi metabolici essenziali per la sopravvivenza dei microorganismi. Un buon target è rappresentato dal metabolismo del ferro, che è un elemento vitale per tutti gli organismi viventi perché rappresenta un cofattore essenziale di diversi enzimi coinvolti in numerosi processi cellulari”, spiega la ricercatrice. L’idea è quella di perturbare il metabolismo del ferro attraverso il potenziamento del cefiderocol, una cefalosporina sideroforica sviluppata negli ultimi anni contro i batteri gram-negativi multiresistenti. La componente sideroforica di questa molecola fa sì che venga attivamente acquisita dal batterio attraverso i sistemi di acquisizione del ferro con una strategia a cavallo di Troja mentre la componente cefalosporinica esercita la sua attività antibatterica”, evidenzia Visaggio.
“Il nostro progetto è focalizzato proprio sul cefiderocol e su come i batteri possano sviluppare la resistenza a questo antibiotico. Sono stati infatti descritti ceppi clinici resistenti a questo farmaco, ma i meccanismi alla base di tale resistenza sono ancora in parte sconosciuti. Inoltre, il nostro progetto mira anche a potenziare l’attività del cefiderocol complessandolo con il gallio che è un metallo ferro mimetico. Il gallio è chimicamente molto simile al ferro e i batteri non sono in grado di discriminare i due metalli. Tuttavia, al contrario del ferro il gallio è tossico per i batteri. Il laboratorio nel quale lavoro – rivela la ricercatrice – il cui responsabile è il Professor Paolo Visca, Prorettore alla Ricerca di Roma Tre, ha una lunga storia di ricerca su gallio come antibatterico. Inoltre, Il gallio nella forma di gallio-nitrato è già utilizzato nel trattamento di alcuni tumori ed è approvato dalla Food and Drug Administration pertanto in breve tempo potrebbe essere traslato alla clinica come antibatterico”.
Gli altri Atenei coinvolti
Al progetto lavoreranno altre due unità: una di cui è responsabile il Professor Tommaso Giani dell’Università di Firenze, e un’altra dal Professor Vincenzo Di Pilato dell’Università di Genova. “Sono dell’idea che la collaborazione tra Atenei sia una risorsa impagabile – afferma Visaggio – perché consente di migliorare le nostre performance. Io e i miei colleghi abbiamo competenze complementari essenziali per la realizzazione del progetto. Il Professor Tommaso Giovani, microbiologo clinico, ha accesso ad una vasta collezione di ceppi clinici e possiede una lunga esperienza in merito allo studio dell’antibiotico resistenza. Invece il Professor Di Pilato, anche lui microbiologo clinico, è dotato di competenze bioinformatiche che ci consentiranno di condurre l’analisi dei genomi batterici per individuare i geni di resistenza; analisi che io non sono in grado di svolgere. Secondo me è una opportunità inestimabile poter collaborare con loro, soprattutto dal momento che siamo giovani ricercatori under 40, il Professor Giani ne ha poco di più, e siamo tutti fortemente motivati. Posso affermare con piacere che la comunicazione e il confronto che abbiamo già sperimentato durante la stesura del progetto si sono rivelati proficui e scientificamente stimolanti ”.
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