Sono 31 le scuole superiori che hanno detto no al loro figlio, eppure i genitori di Tommy, uno studente con una forma di autismo importante, non si danno per vinti. C’entrano poco i principi di inclusività, a pesare sul sistema sono risorse, spazi, personale, pericolosità di alcuni laboratori. Si erano rivolti ad ottobre al Servizio orientamento scolastico offerto dal Comune per gli alunni con sostegno. A novembre viene loro suggerita una short list di tre scuole adatte e teoricamente disponibili. “In caso di disabilità grave è necessario presentarsi prima di procedere all’iscrizione online per avere la rassicurazione che l’istituto cercherà di prendersi cura del minore — avevano raccontato al Corriere della Sera —. In questo caso i primi due istituti suggeriti dai servizi danno risposta negativa e la terza dà disponibilità in via residuale, e cioè soltanto se alla fine resterà un posto libero e con le risorse per un disabile grave”. Così inizia la girandola dei loro 28 (ulteriori) tentativi.
La campagna ‘Siamo tutti Tommy’
Intanto i compagni cercano di solidarizzare con Tommy, nelle chat whatsapp viene creata una ‘campagna’ con dei cartelli con su scritto ‘Siamo tutti Tommy’. E mentre le istituzioni si muovono — il servizio Orientamento del Comune ha chiamato la famiglia e il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha avviato una “verifica approfondita” impegnandosi “a trovare una soluzione adeguata“. “Le richieste sono aumentate tantissimo, in particolare per i casi severi, e convergono sui professionali e sugli artistici che si mostrano più accoglienti — fanno notare la dirigente Alfonsina Cavalluzzi e la docente Flavia Bennardo del Kandinsky, dove su 709 studenti, 129 hanno disabilità —. La cultura dell’inclusione non è ancora diffusa, il rischio è creare il ghetto in alcuni istituti”.
“La scuola pubblica ha un mandato, accogliere – sottolinea Susanna Musumeci, preside del Verri – Ma qual è il reale contributo che possiamo offrire, in alcuni casi? Un ragazzino autistico molto problematico e con difficoltà serie di autocontrollo, ad esempio, è davvero compatibile con un gruppo classe? O si finirà a costruire un percorso autonomo fuori dall’aula?”. Man mano che diventano grandi, è sempre più difficile, «talvolta per le diagnosi più severe occorre personale specializzato e non può essere il docente di sostegno — continua Musumeci —. Occorre perseguire l’obiettivo di socializzazione e sviluppo delle competenze pratiche che serviranno nella vita ma anche tutelare il diritto degli altri a seguire la lezione e all’incolumità personale”.
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