“Si è persa la percezione di quanto valga laurearsi”. Sono queste le parole che riassumono l’intervento del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, alla giornata conclusiva del Festival dell’Economia di Trento.
Visco ha accettato l’invito del direttore scientifico Tito Boeri a tenere una conferenza dal titolo “Imparare dagli errori”, raccontando insomma cosa abbiamo capito dalla crisi, quali errori non dobbiamo ripetere e come possiamo cambiar passo per uscirne definitivamente. Il giudizio è stato perentorio: l’errore principale è stato “pensare che il mercato si potesse autoregolare”.
L’eccesso di deregulation finanziaria è causa prima della recessione, per Visco. “E’ nato come risposta ai fallimenti dello Stato degli Anni 70 con l’idea che i mercati avrebbero fatto meglio e questa reazione ne ha sicuramente sviluppato la forza e ha prodotto molta innovazione finanziaria”.
Negli Usa hanno creduto che ci sarebbe stato un aumento continuo dei redditi, che le famiglie potessero comprare a casa all’infinito e invece si sono ritrovati con un eccesso di debito privato e «da questo errore ne è discesa tutta la filiera della crisi».
Come mai gli economisti non sono stati in grado di prevedere una crisi di simili proporzioni? “La verità – ha risposto Visco – è che non tutte le decisioni di policy sono misurabili quantitativamente e spesso servono decisioni soggettive”. E invece se andiamo a rileggere cosa dicevano nel 2003 guru di Chicago come Robert Lucas («la macroeconomia ha avuto successo e rende impossibili le crisi») o del Mit come Olivier Blanchard nel 2008 («la macroeconomia è in buono stato») abbiamo la dimostrazione palmare degli errori perpetrati e di come vi sia bisogno di un profondo ripensamento. «Uno schema formale è indispensabile per progredire nella comprensione del funzionamento di un’economia ma dobbiamo ricordarci che tutte le previsioni sono condizionali e che non possediamo sfere di cristallo».
“Io non lo credo pure se per gli effetti della tecnologia sull’occupazione penso che si debba guardare alle questioni distributive non solo dal lato dell’equità ma anche della domanda aggregata». Manca, però, un capitale umano richiesto dalla tecnologia odierna: “Il paradosso è che abbiamo uno scarso stock di capitale umano e si è persa la percezione di quanto valga laurearsi per le scarse differenze di retribuzione tra diplomati e laureati. E’ strano perché quando un bene scarseggia il suo prezzo dovrebbe salire e invece da noi no. La colpa è di un’asimmetria informativa, le imprese non riescono a misurare la qualità e pagano poco i laureati e i singoli di fronte alla prospettiva di stipendi magri non investono sulla loro qualificazione”.
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