Si è fatto attendere per ore, i tiggì dell’ora di pranzo hanno anche annunciato l’annullamento della visita, ma quando la platea era proprio sfinita si è materializzato. Giacca bianca, camicia verde, mantella di voile color senape e l’immancabile spilla appuntata al petto, ma questa volta senza foto, solo una sagoma del suo continente dello stesso verde della camicia. Muammar Gheddafi è stato ospite della Sapienza nella seconda giornata della sua prima visita a Roma. È arrivato poco dopo le 14 e ha lasciato l’ateneo dopo circa due ore.
Prima di entrare nell’aula magna dove lo attendevano studenti, dottorandi e docenti, il raìs ha incontrato il senato accademico e ricevuto alcuni doni, come una tesi di laurea su di lui realizzata da uno studente di storia. Poi l’incontro tanto atteso. Accolto da un applauso ha preso posto sul palco, di fianco al rettore Luigi Frati. Il Magnifico ha ribadito l’intenzione dell’ateneo di dare voce a chiunque abbia qualcosa di importante da dire e di voler, con questa politica, abbattere muri per costruire ponti.
Dal colonnello Gheddafi arrivano 45 minuti di discorso cadenzati dalle pause per la traduzione simultanea. Colonialismo, terrorismo, giochi di potere. Sono questi gli argomenti principali che affronta, in un discorso rivolto soprattutto “alle nuove generazioni”. “Il popolo italiano dovrebbe tornare a studiare la storia. Probabilmente i più giovani non sanno – afferma il colonnello – quello che è stato commesso dall’Italia in Libia. Il mio Paese ha bevuto questo calice amaro, ma non c’è famiglia libica che non abbia almeno un parente colpito dalla prepotenza italiana. Oggi abbiamo concordato insieme un nuovo percorso per una nuova fase delle nostre relazioni bilaterali. Ma sarebbe necessario che tutti studiassero sui libri di storia gli eventi così come sono realmente accaduti e non condizionati da un solo punto di vista. L’Africa – prosegue il leader libico – è stata colonizzata da moltissimi Paesi e ora questi devono risarcire i danni, perché solo così si evita che la colonizzazione si ripeta”. E i punti fermi sono sempre gli stessi: necessità di conoscere quello che è stato fatto per fare in modo che non accada di nuovo. Poi accenni al terrorismo, alla guerra israeliano-palestinese, alle vignette su Maometto di qualche anno fa. Tutto ciclicamente intervallato dall’invito alle giovani generazioni a studiare la storia “vera”. Non sono mancate accuse pesanti agli Stati Uniti: “L’America vuole colonizzare il globo intero”. E la spiegazione del terrorismo islamico come reazione al colonialismo subito.
Resta poco tempo per le domande, ma qualcuno ci prova. Dalla platea chiedono dei respingimenti sulle coste libiche dei barconi carichi di clandestini e rifugiati politici, del ruolo delle donne in Libia e della democrazia. Le risposte non sono sempre esaurienti, ci girano un po’ intorno, come quando il leader rimanda al mittente quella sui diritti di chi è respinto sulle coste libiche: “a quali diritti si riferisce?”.
I ragazzi dell’Onda sono rimasti fino alle 15 fuori dal Rettorato, stretti alle transenne sorvegliate dalle forze dell’ordine in tenuta antisommossa. C’è stato qualche tafferuglio. Qualcuno di loro era anche entrato in aula magna, ma quando al momento delle domande ha provato a prendere la parola è stato spento il microfono. Di tutta risposta hanno impedito al rettore Frati di chiudere con l’ultima domanda e hanno salutato il leader libico con fischi e ululati di dissenso.
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