“A più di tre mesi dalla sua entrata in vigore, la legge Gelmini si conferma come quel micidiale strumento di ristrutturazione gerarchica e di riduzione del sistema universitario pubblico che, insieme al movimento degli studenti e dei ricercatori, abbiamo a lungo denunciato”. Lo dichiara in una nota il Coordinamento ricercatori e docenti precari dell’università (CPU).
“La nuova legge – sottolineano – invece di risolvere i problemi della mancanza di democrazia negli atenei, della precarietà diffusa e della dequalificazione progressiva della didattica e della ricerca, sta aggravando ulteriormente le criticità del sistema portandolo al collasso”. Questi effetti, secondo il Coordinamento sono prodotti dai pesanti tagli alle risorse della legge 133, sempre in vigore, “dal mancato sconto sulle spese del personale medico nel FFO, dal blocco delle assunzioni e dal taglio del 50% dei contratti precari. Le proposte attualmente in circolazione di federazione degli atenei, spesso in chiave di sostanziale regionalizzazione, si inseriscono in questo quadro: tali proposte non appaiono ispirati a reali progetti culturali di innovazione, ma solo ad esigenze di bilancio e di ulteriore riduzione del personale impiegato nelle università”.
E oltre agli studenti a pagare sarebbero soprattutto i precari della ricerca e della didattica. “È già in atto la nostra lenta espulsione dai luoghi di lavoro dove per anni abbiamo prestato la nostra professionalità, in condizioni di elevato sfruttamento. Le borse di studio sono state di fatto cancellate senza prevedere nessuna gestione del transitorio; alcuni atenei, guidati da rettori particolarmente retrogradi, hanno introdotto criteri restrittivi su base anagrafica per concorrere ad assegni di ricerca e posti da ricercatore a tempo determinato; le risorse disponibili per le nuove figure di ricercatore a tempo determinato e per l’immissione in ruolo sono largamente insufficienti rispetto alle esigenze delle università”.
“Con l’alibi della crisi economica e della necessità di rispettare i vincoli europei di bilancio, – denunciano – si intende ridurre complessivamente l’impegno dello Stato nei settori cruciali dell’istruzione, della ricerca e della cultura. Preparano così un futuro di bassi salari, precarietà, riduzione dei diritti e della democrazia nei luoghi di lavoro, riservando ad alcuni poli di eccellenza le risorse e le innovazioni necessarie, e comunque a beneficio di soggetti privati. Poco importa se in questo modo si minano le fondamenta della nostra Costituzione, che promuove l’uguaglianza sociale, riconosce il valore centrale del lavoro e dei diritti ad esso collegati, sostiene l’istruzione e la ricerca pubblica”.
“Fin dai prossimi mesi i precari dell’università intendono attivarsi per: estendere e rinforzare ulteriormente il proprio radicamento organizzato negli atenei, collegandosi con tutte le altre forme di precarietà dentro e fuori gli atenei; individuare forme di agitazione a livello nazionale, come l’indisponibilità a tutte le mansioni non previste dai contratti e il blocco delle sessioni estive d’esame, da organizzare di concerto con gli altri soggetti universitari in mobilitazione; elaborare con i ricercatori, gli studenti e gli altri lavoratori precari presenti negli atenei una piattaforma comune per un’università alternativa, democratica, di qualità, in cui vengano garantiti il diritto allo studio e il diritto al lavoro stabile come lati inseparabili di una stessa strategia volta a rilanciare il sistema della formazione e della ricerca, nel quadro di un modello di produzione non più orientato ai profitti ma al soddisfacimento dei bisogni economici e sociali della maggioranza della popolazione”.