Alla fine degli esami di maturità manca ormai poco, varrebbe la pena chiedersi quanto siano utili queste prove e se davvero i risultati rispecchino le competenze dei ragazzi.
Secondo i numeri del ministero, rielaborati dal Sole 24 Ore, nel 2016-2017 in totale poco più dell’1% dei ragazzi ha completato l’esame di maturità ottenendo 100 e lode – il voto massimo. Da una regione all’altra però i risultati variano moltissimo, e il solo essere nati in un luogo o in un altro rende può rendere questo risultato parecchio più facile o difficile.
Quanto ai 100 e lode, la differenza massima è quella che passa fra studenti lombardi e pugliesi. Se nei primi la percentuale si abbassa ad appena lo 0,5% del totale, fra i secondi invece è diverse volte quel numero e arriva al 2,6%. Molte regioni del nord presentano valori sotto la media nazionale, mentre lodi più comuni si trovano in Puglia, appunto, oltre che in Calabria, Marche e Umbria.
Nell’altro verso troviamo invece gli studenti che hanno concluso il percorso con 60, il minimo. Anche qui la geografia non sempre è chiarissima. Sappiamo per esempio che l’8,5% degli studenti in tutt’Italia fa parte di questo gruppo, ma a recarsi nel Lazio – o se è per questo in Campania, Sicilia o Lombardia – ne troveremmo più di frequente. Nella provincia di Trento o in Calabria, d’altra parte, i docenti tendono a ricorrere meno spesso a questo voto esatto.
Un altro modo di guardare al modo in cui sono distribuite le lodi è per tipo di scuola. Stereotipo vorrebbe che i licei siano frequentati dagli studenti più bravi, e da questo punto di vista è vero che i licei classici ospitano – in media – la fetta maggiore di chi raggiunge il voto massimo. Dal poco sopra il 4% si scende a poco sotto il 3 per lo scientifico, mentre istituti tecnici e professionali non arrivano all’1%.
Un parte di questa differenza si deve a un doppio effetto di auto-selezione: da un lato esiste appunto lo stereotipo secondo cui certe scuole sono per studenti “bravi”, e lì essi vengono indirizzati. Dall’altro – come per esempio ha evidenziato un nuovo report dell’Ocse – la scuola italiana risulta particolarmente classista. Vuol dire che è spesso incapace di agire come ascensore sociale, e i figli di famiglie povere tenderanno a frequentare meno spesso scuole che garantiscono loro carriere migliori, e viceversa.
In concreto, chi parte da buone condizioni economiche si iscriverà più spesso a un liceo, con i più ricchi che tendono ad andare al classico di frequente. Da lì diventa probabile frequentare poi l’università e così via. Nelle famiglie povere succede l’esatto contrario e da questo dipende – oltre che naturalmente dalle capacità individuali – deriva parte della differenza che troviamo nei risultati.
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