“Il Governo rafforza il suo impegno per rilanciare la ricerca in Italia e superare il problema del precariato che da troppo tempo penalizza il settore”, lo aveva dichiarato la scorsa settimana il ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, dopo l’approvazione in consiglio dei ministri la sequenza del contratto di ricerca. Lo strumento atteso dai precari del mondo dell’università era atteso da due anni. La riforma, infatti, introdotta dalla legge 79/2022, era rimasta ferma a causa del mancato accordo tra governo e sindacati e dell’assenza dell’approvazione tecnica del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
“Sicuramente un primo passo, non di certo quello definitivo, che deve andare verso la realizzazione di un ruolo di ricercatore a tempo indeterminato”, ha affermato Davide Clementi, segretario nazionale dell’Associazione Dottorandi e dottori di ricerca italiani (Adi), intervistato da Corriereuniv.it. “Il contratto di ricerca, che non è mai stato applicato, deve essere il solo strumento previsto dalla normativa per dare dignità e certezze ai ricercatori”.
L’esposto alla Commissione Europea per il contratto di ricerca
Il provvedimento è stato a lungo al centro delle richieste dei ricercatori che nei giorni scorsi. Proprio l’Adi aveva presentato anche un esposto alla Commissione europea per denunciare l’impasse. “L’esposto muove dalla semplice considerazione che il Pnrr prevede che il contratto di ricerca debba essere l’unica figura non ancorata a meccanismi di tenure-track all’interno dell’ordinamento italiano – spiega Clementi -. Questo ce lo pongono in considerazione i colleghi e le colleghe che in tutta Europa hanno condizioni migliori di quelle italiane e si basano sul riconoscimento di un’unica figura lavorativa e di natura subordinata a tempo determinato. Ci attendiamo che la Commissione Europea prenda in considerazione le nostre richieste e che il disegno di legge sia ritirato dalla maggioranza di governo”.
Dopo l’assemblea di Bologna dello scorso weekend i ricercatori precari giurano battaglia. “Al gruppo di lavoro che ha prodotto il disegno di legge 1240 non ha partecipato nessun precario della ricerca. Non siamo stati chiamati in nessuna fase nonostante le ripetute richieste fatte in due anni alla ministra – continua Clementi -.Come Adi abbiamo aderito agli stati di agitazione permanente dell’università assieme al mondo studentesco, alle forze tecnico-amministrative e a quella docente. Riteniamo che ogni azione che possa segnalare alla politica e all’opinione pubblica il dramma del sistema universitario strozzato e ricattato da questa riforma debba essere presa in considerazione”.
Quali sono le altre figure introdotte dal Ddl Bernini
Il disegno di legge 1240 contro cui si scagliano i ricercatori introduce nuove forme di impiego nella ricerca accademica, sostituendo gli assegni di ricerca con due nuove borse di assistenza alla ricerca: “Junior” per laureati magistrali o a ciclo unico e “Senior” per dottori di ricerca. Entrambe avranno una durata tra uno e tre anni e saranno incompatibili con altri contratti di lavoro pubblico o privato. Viene inoltre istituito il contratto postdoc, riservato ai dottori di ricerca, con una retribuzione equiparabile a quella dei ricercatori a tempo definito, della durata tra uno e tre anni.
Un’altra novità considerata controversa è la creazione della figura del professore aggiunto, un incarico esterno assegnato direttamente dai Consigli di amministrazione degli atenei, senza una valutazione accademica formale, con contratti da tre mesi a tre anni. Questo aspetto ha sollevato critiche per il rischio di mancanza di trasparenza nella selezione e non solo. “La ‘cassetta degli attrezzi’ della ministra che risponde a chi dentro gli atenei vede come naturale lo stato di definanziamento e strozzamento che tutti gli atenei, e in particolar modo al Sud e nelle aree interne, sono costretti a vivere – afferma Clementi -. La ministra ha scelto di tagliare le risorse delle università come atto politico. Il pre-ruolo, così com’è configurato nel disegno di legge Bernini, è un ennesimo sprofondamento nell’inferno del precariato. Figure prive di diritti, prive di tutele, peggiorative persino dell’assegno di ricerca, intermittenti e senza prospettive chiare di carriera. La proposta della ministra è inaccettabile sia per metodo, che per merito”.
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