Le università italiane sono sempre più chiuse. Da Milano a Bari, passando per Trento, Padova e Bologna: i corsi a numero programmato sono aumentati del 12 per cento. A svelarlo è un’indagine di Repubblica, su un campione dei 25 principali Atenei pubblici italiani che, insieme, coprono il 60 % degli iscritti. Dal 2012/13 ad oggi la quantità di corsi di laurea a numero chiuso è aumentata del 3 %. Oltre a Medicina, Architettura e Veterinaria, che hanno un numero programmato a livello nazionale, a chiudere le porte sono anche singoli corsi universitari dove gli atenei possono decidere autonomamente. Sono due i fattori determinati: da una parte il numero delle matricole cresce (al massimo rimane invariato), dall’altra diminuiscono le risorse per gli organici dei docenti. Così, insomma, gli Atenei sono costretti a mettere barriere, anche per ottemperare al decreto ministeriale del 2013, il quale stabilisce che vi sia una quota minima di professori in proporzione al numero di studenti perché un corso di laurea sia sostenibile.
Ogni Ateneo, comunque, fa storia a sé: alla Bicocca, ad esempio, ad oggi più della metà dei corsi prevede il numero programmato. A Venezia, invece, la crescita è ancora più netta: “Abbiamo deciso di estenderlo alla maggioranza dei corsi perché siamo arrivati alla saturazione” – spiega il rettore della Ca’ Foscari, Michele Bugliesi.
Gli studenti, dal loro canto, continuano a combattere contro il sistema del numero programmato: “Il numero chiuso è frutto di politiche miopi, in contrasto con il principio del libero accesso alla conoscenza e con gli obiettivi europei di aumento dei laureati – dice Andrea Torti, dal sindacato universitario LINK – . I test d’ingresso e la mancanza di misure strutturali per il Diritto allo Studio stanno rendendo l’università italiana sempre più elitaria”.
ECCO I NUMERI
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