Una studentessa morta nel terremoto perché troppo attaccata allo studio: è la motivazione choc con cui i giudici della Corte d’Appello de L’Aquila hanno respinto la richiesta di risarcimento per i familiari di Ilaria Rambaldi, studentessa di ingegneria morta il 6 aprile del 2009 nel terribile terremoto che colpì il capoluogo abruzzese.
Secondo i giudici la studentessa sarebbe “colpevole” di essere rimasta all’Aquila, dove frequentava l’Università, per il suo “attaccamento al dovere, l’impellente esigenza di terminare le ore di laboratorio (dalla stessa definite un ‘incubo’ nel parlarne con la madre), il fatto che la stessa conviveva ormai da mesi col terremoto e che neppure a seguito della più forte scossa del 30 marzo aveva scelto di dormire all’aperto o lasciare la città”. Il suo attaccamento allo studio quindi fu, per i giudici, la causa della sua morte visto che “appare improbabile che le informazioni veritiere e corrette che attendeva per prendere una decisione l’avrebbero indotta a lasciare la città”.
La richiesta di risarcimento avanzata dai familiari scaturisce dal processo alla Commissione grandi Rischi, nel quale è stato condannato Bernardo De Bernardinis, vice capo della Protezione civile, “per avere diffuso all’esito della riunione della Commissione Grandi Rischi tenutasi a L’Aquila il 31 marzo 2009 informazioni scorrette circa l’evoluzione e pericolosità dello sciame sismico in corso: in particolare, sostenendo la teoria dello ‘scarico graduale di energia’ secondo cui, in buona sostanza, il succedersi di piccole scosse avrebbe impedito il verificarsi di un evento tellurico di elevata intensità”.
La sentenza choc si va a sommare a quella che riguarda i sette universitari morti nel crollo della casa dello studente: anche in questo caso il risarcimento è stato negato perché, secondo i giudici, gli studenti furono “incauti” nel restare nello stabile dopo le scosse di terremoto.
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