Finita l’euforia legata a Garanzia giovani – il programma Ue per migliorare l’occupazione dei nostri ragazzi, esauritosi un paio di anni fa – il tirocinio extracurriculare o stage è tornato a registrare numeri più contenuti. Dal 2014 in poi le attivazioni sono salite stabilmente raggiungendo il numero di circa 350mila ogni anno, fino alla pandemia. Nel 2020 i tirocini attivati sono scesi ad appena 226.001, nel 2022 erano 314.230, nel 2023 se ne sono contati 283.985, con un calo di quasi il 10% rispetto all’anno precedente, secondo i dati Inapp e ministero del Lavoro. Inverno demografico e mismatch sembrano aver frenato l’istituto, che è entrato in competizione (specie per trattenere i talenti) con altre forme di ingresso nel mercato del lavoro più stabili.
Secondo Eleonora Voltolina, founder della Repubblica degli stagisti, “il calo degli stage ci deve fare riflettere anche sul fatto che l’attitudine dei giovani verso il mercato del lavoro sta cambiando e chi può permetterselo, perché ha un livello di istruzione alto e vive in una regione dove il mercato del lavoro è dinamico, dice no a proposte non qualificanti, di realtà che non hanno un set di valori con cui ci si identifica”. Le prime regioni per tirocini attivati sono Lombardia (59.500), Lazio (30.462), Piemonte (26.742), Veneto (25.932), Emilia-Romagna (23.339), Campania (23.400).
Le polarizzazioni
Un’interessante analisi, curata, per il nostro giornale, dal direttore della Fondazione Adpat, Matteo Colombo, mostra ancora oggi nette polarizzazioni: l’efficacia di questo strumento varia sensibilmente in base al titolo di studi posseduto dal tirocinante e alla sua età. “Per i giovani laureati o diplomati in professioni tecniche – scrive su Il Sole 24 ore Matteo Colombo – rappresenta un canale di primo ingresso nel mondo del lavoro, a cui fa seguito spesso un contratto di apprendistato con lo stesso datore di lavoro. Le finalità sono quindi, in questo caso, prevalentemente occupazionali. Per gli adulti con bassi titoli di studio, rappresenta invece un’occasione di reinserimento nel mercato del lavoro, anche a seguito di lunghi periodi di disoccupazione o inattività. A percorsi formativi di eccellenza si affiancano poi tirocini che altro non sono che normali rapporti di lavoro “mascherati“”.
I dati sugli stage
I dati relativi alla durata dicono che il 6,3% dei tirocini nel 2023 ha una durata fino ad un mese. Quasi un tirocinio su cinque, il 17,5% per l’esattezza, ha una ”vita” da 1 a 3 mesi. Il 73% ha una durata compresa tra 3 e 12 mesi, mentre solo il 3,2% ha una durata superiore all’anno. Quasi il 50% (precisamente il 48,6%) dei tirocini si conclude con l’attivazione di un rapporto di lavoro entro un mese, quasi il 6% (il 5,9%) con l’attivazione di un nuovo tirocinio. Emergono però notevoli differenze se si considera il titolo di studio posseduto e l’età del tirocinante.
I tirocinanti con titolo terziario nel 58% dei casi si vedono attivare un contratto al termine del tirocinio, percentuale che scende al 33,7% per coloro che hanno raggiunto al massimo la terza media. Il 52,1% dei giovani fino a 29 anni si vede attivare un contratto al termine del tirocinio, percentuale che scende al 19,1% per gli over 50, i quali più frequentemente (in un caso su cinque, il 20,2%) attivano un altro tirocinio. Infine una nota sul genere: la platea degli stagisti è formata in maggioranza da donne: nel 2023 erano 147.029. La quota maggioritaria, considerando i maschi, era collocabile nella fascia di età under 25 (74.678) così come per le femmine, anche se per quest’ultime, in percentuale rispetto al totale, emerge il peso della fascia 25-34 (54.873).
Le criticità
Le criticità non devono però portare a giudizi frettolosi. “Piuttosto, anche alla luce della riflessione in atto a livello comunitario sui tirocini di qualità – aggiunge Colombo – si tratta di dare finalmente seguito a quanto disposto dalla legge di Bilancio per il 2022, adottando nuove linee guida che sappiano contrastare l’evidente abuso dell’istituto quando finalizzato all’abbattimento del costo del lavoro e impedire la sua riduzione a strumento con finalità prevalentemente occupazionali, valorizzandone la dimensione formativa”. Tornando ai dati, “il loro calo non deve necessariamente rappresentare un campanello d’allarme perché il numero assoluto non è il solo che va considerato e forse per una volta, anche un calo potrebbe avere un suo lato positivo – osserva -. Avere meno stage, ma di qualità, riferiti a mansioni complesse e con un’indennità adeguata non sarebbe necessariamente una cattiva notizia. Ciò su cui ci si deve soffermare è la qualità più che la quantità. Anche per questo sarebbe utile avere dati meno aggregati e più di dettaglio per interpretare l’uso dello strumento. Ci sono stati anni, quelli del finanziamento prima e del cofinanziamento poi, dell’indennità per gli stagisti attraverso il programma Garanzia giovani in cui si è arrivati fino a 370mila stage e abbiamo visto diffondersi stage anche per mansioni ripetitive, come accaduto nel commercio e nel turismo, per camerieri, baristi, commessi, peraltro in molti casi di età adulta. Il valore dello stage dipende in gran parte dal suo contenuto e dal contributo che può dare al percorso professionale di chi lo fa”. Il principale settore economico nel quale si sono concentrati i tirocini extracurriculari nel 2023 è quello dei “Trasporti, comunicazioni, attività finanziarie e altri servizi alle imprese”, con 75.390 attivazioni. A seguire “Commercio e riparazioni”, con 67.493. Un tirocinio, quindi, sempre più “terziario”. Al terzo posto troviamo invece l’Industria in senso stretto, con 48.877 tirocini attivati.
Leggi anche altre notizie su CorriereUniv