Forse non tutti sanno che molti cattedratici scesi in piazza in questi giorni di mobilitazione non avranno alcuna decurtazione sullo stipendio: la partecipazione alle manifestazioni di piazza accanto agli studenti non intaccherà la loro busta paga, a patto che il Consiglio di facoltà abbia deliberato la sospensione della didattica per quei giorni. In pratica: gli studenti scendono in piazza per rivendicare il diritto allo studio e cercare di intravedere un barlume di speranza per il proprio futuro (sempre più precario e sottopagato), i cosiddetti “baroni” lo fanno senza rinunciare nemmeno a un centesimo del loro stipendio.
A mettere in luce questo fenomeno, sconosciuto ai più, è stata Michela Vittoria Brambilla – sottosegretario con delega al Turismo – che in un’intervista a “Il Giornale” espone con dovizia di particolari il meccanismo che regola questo redditizio escamotage: «Chissà se gli studenti lo sanno: i professori universitari che si riempiono la bocca con la parola “sciopero” hanno inventato e praticano un geniale sciopero all’italiana, niente lavoro ma anche niente trattenuta in busta paga. Piazze piene ma anche tasche piene. Rivoluzione e retribuzione. In poche parole: i baroni della rivolta contro i tagli scioperano nei “fatti”, visto che non lavorano; ma “formalmente” non sono in sciopero e quindi non ci rimettono un centesimo».
Ma è sempre stato così? «Fino a qualche anno fa – continua la Brambilla – alcuni giorni dopo lo sciopero, i professori ricevevano una lettera dall’amministrazione in cui si chiedeva conto della loro presenza o assenza. Bastava non rispondere e lo stipendio veniva decurtato. Tanto, nelle università, non c’era e non c’è alcun controllo delle presenze. Né cartellini né registri da firmare. Ora è stato eliminato anche il fastidioso recapito dell’antipatica lettera e quindi si procede così. Si procede con il Consiglio di facoltà che delibera la “sospensione dell’attività didattica”. Viene stabilito che nei tali giorni la facoltà è chiusa – aggiunge il sottosegretario – E quindi i professori sono lasciati in libertà. Sono a casa. Pagati».
Secondo la Brambilla si tratta di «una gigantesca truffa già in questi giorni, visto che la protesta degli studenti è contro il decreto Gelmini che riguarda le elementari, e quindi non si capisce che senso abbiano le occupazioni delle università. Il sindacato spiega questa assurdità dicendo che le università comunque sciopereranno il 14 novembre, e all’appuntamento bisogna arrivarci preparati, insomma bisogna allenarsi prima con un po’ di cortei, di assemblee, di slogan».
In realtà la protesta del mondo accademico riguardava anche i tagli previsti dalla Legge 133, il blocco del turnover al 20% per i docenti e la progressiva – quasi inevitabile – privatizzazione degli atenei cui viene data la facoltà di trasformarsi in Fondazioni, con l’ingresso dei privati. Senza contare che non avendo introiti certi e scadenzati, con un taglio sempre maggiore del Fondo di Finanziamento Ordinario, molte realtà accademiche si vedranno costrette a chiudere.
Manuel Massimo
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