Come intercettare il disagio giovanile all’università: intervista al Prof. Gianluca Ficca

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Il disagio psicologico tra gli studenti universitari è un tema sempre più attuale. Difficoltà emotive, senso di inadeguatezza, ansia e isolamento sociale sono segnali che spesso si presentano in modo silenzioso e che rischiano di compromettere il percorso accademico e la salute mentale dei ragazzi. Ne abbiamo parlato con il Prof. Gianluca Ficca, docente di Psicologia all’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli.

«Spesso ci si accorge del disagio solo quando si trasforma in un problema evidente — spiega Ficca — ma la sofferenza psicologica può iniziare molto prima, con alcuni segnali che è fondamentale saper cogliere.» Tra i più comuni, il professore parla di isolamento, perdita di motivazione e ritiro sociale.

Uno degli aspetti più preoccupanti è la difficoltà da parte degli studenti di chiedere aiuto: per vergogna, per paura di essere giudicati o semplicemente perché non sanno a chi rivolgersi. «È per questo che l’università ha un ruolo fondamentale: non solo formare, ma prendersi cura — sottolinea il Prof. Ficca — creando spazi in cui gli studenti si sentano ascoltati e accolti.»

Il fenomeno degli hikikomori

Aumenta il numero di adolescenti che scelgono di ritirarsi dalla vita sociale, percependo il mondo esterno come una fonte costante di stimoli minacciosi e di turbamenti emotivi dai quali sentono il bisogno di difendersi. Secondo una recente indagine dell’Associazione Nazionale DiTe (Dipendenze tecnologiche, gap e cyberbullismo), questa difficoltà relazionale si traduce in una crescente assenza di rapporti autentici: il 26,8% degli adolescenti non intrattiene legami significativi attraverso incontri reali, al di fuori delle piattaforme digitali. Inoltre, il 14,4% dichiara di avere spesso, se non sempre, difficoltà a incontrare i propri amici di persona. Tra le forme più estreme di questo fenomeno si colloca quello degli hikikomori, termine giapponese che significa “stare in disparte” o “isolarsi”: si tratta di ragazzi che decidono di non uscire più di casa per mesi, talvolta per anni. In Italia, si stima che siano oltre 60.000 gli adolescenti coinvolti in episodi di isolamento volontario.

Tra le soluzioni concrete: sportelli di ascolto psicologico facilmente accessibili, formazione per i docenti per riconoscere i segnali di disagio e attività trasversali che favoriscano la socialità, la consapevolezza emotiva e il benessere mentale.

«Le istituzioni non devono intervenire solo quando il problema è esploso, ma devono imparare a intercettare il disagio prima che degeneri.» Un invito che è anche una sfida: costruire un’università più attenta, più ricettiva dei bisogni dei propri studenti, pronta ad ascoltare davvero. Perché il benessere mentale non deve essere un lusso, ma una condizione necessaria per crescere, imparare e diventare adulti consapevoli.

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