Un reparto ospedaliero trasformato in classe per un giorno. Tra camici bianchi e pazienti in corsia. E gli studenti che osservano e immagazzinano esperienze, anche usando qualche volta lo stetoscopio. Una prova di alternanza scuola-lavoro che gli studenti del quarto liceo ‘Maria Montessori” di Roma hanno scelto per il loro percorso didattico al Policninico universitario Umberto I.
Un’esperienza che ha raccolto entusiasmo e soddisfazione tra i partecipanti, guidati dalla professorezza di scienze Lucia Capasso. Un faccia a faccia con il corpo umano a cui i ragazzi sono stati preparati durante l’anno scolastico prima in classe e poi con lezioni frontali nel reparto di Cardiologia. Un percorso che si è poi concluso alla fine dell’anno scolastico con la visione, in diretta su uno schermo, di due interventi chirurgici di angioplastica al cuore, su altrettanti pazienti, realizzati attraverso laparoscopia. “Niente di invasivo – rassicurano gli studenti – vedevamo solo una sonda che lavorava. Nessuno si è spaventato, anzi, è stato molto interessante. Durante tutto questo percorso non abbiamo mai vissuto momenti di noia”.
Gli studenti hanno indossato i camici bianchi, hanno preso confidenza con lo stetoscopio, hanno potuto applicare le ventose dell’elettrocardiogramma ai pazienti; hanno assistito alla definizione di diagnosi e a confronti fra medici. “Abbiamo potuto vedere, in particolare, come lavorano i medici attraverso le immagini – dice Francesco – abbiamo parlato con i pazienti ed anche interagito con loro. Ci siamo sentiti integrati all’interno del reparto. In pratica, ci hanno trattato come studenti universitari”.
I ragazzi stessi sono stati oggetto di indagine. Su di loro sono anche stati effettuati i principali esami cardiologici; il tutto alternato da spiegazioni e informazioni sulla prevenzione delle più importanti malattie cardiologiche e respiratorie. Nausica, una delle studentesse, racconta all’Ansa di quel giorno in cui una giovanissima paziente era restia a sottoporsi all’applicazione di un pacemaker: “Aveva paura, si rifiutava. Io le sono stata vicina, abbiamo fatto finta che tutto fosse un gioco. Si è calmata e poi ha fatto tutto quello che doveva fare”. “Ciò che mi ha colpito di più – prosegue la ragazza – è vedere come i pazienti si fidano e si affidano ai medici”.
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