“La Buona Scuola viola l’articolo 33 sulla libertà d’insegnamento”. Parla così Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Corte di Cassazione, che in un’intervista di Mario Martino al quotidiano Metro esprime il suo giudizio sulla riforma dell’istruzione promossa dal governo Renzi. Senza usare mezzi termini
Presidente Imposimato, Lei ha sempre sostenuto che la riforma della scuola del governo Renzi presenta, sulla chiamata diretta dei docenti da parte del dirigente scolastico, evidenti profili di incostituzionalità, in particolare l’articolo 33. Vero?
Confermo. Sembra violato l’articolo 33 sulla libertà di insegnamento. Gli insegnanti hanno diritto di dare e ricevere criticamente diverse opinioni, diverse teorie, diverse filosofie, diverse ideologie. La scuola libera vuol libertà dell’insegnante, che deve avere le sue convinzioni, e libertà dell’allievo, che non deve essere un ricettacolo passivo di tutto quello che legge o ascolta. Il principio etico su cui si fonda la libertà nella scuola è la tolleranza. La tolleranza è rispetto delle opinioni altrui. Tolleranza significa che è lecito e doveroso, il confronto, perché dal confronto deriva tanto da una parte quanto dall’altra una convinzione diversa da quella da cui eravamo partiti (Bobbio). Ed invece la riforma, attribuendo al dirigente scolastico “le scelte didattiche e formative e la valorizzazione delle risorse umane e del merito dei docenti”, viola il principio della libertà di insegnamento tipica della scuola di Stato, ma anche la meritocrazia. Con la riforma gli insegnanti saranno costretti ad abbracciare una fede politica, una dottrina filosofica, una ideologia, una scelta educativa e forse anche una non verità storica, che viene dall’alto.
Recentemente, la sen. Puglisi del PD, relatrice del ddl al Senato, confutando le sue affermazioni, ha sostenuto che l’assegnazione della sede rientra nel legittimo potere discrezionale di scelta del dirigente scolastico. Cosa replica a questa impostazione?
Non ho ben compreso ciò che ha detto sen Puglisi, che mi pare in passato abbia sostenuto criteri diversi rispetto alle scelte discrezionali del dirigente scolastico. Tali scelte vanno contro l’articolo 97 della Costituzione che afferma la necessità che “i pubblici uffici – e tra questi in primo luogo la scuola pubblica – siano organizzati secondo disposizioni di legge (e non secondo l’arbitrio dei dirigenti scolastici), in modo che siano assicurati il buon andamento e la imparzialità della PA”. I criteri oggi vigenti tengono conto di dati oggettivi che sono anzitutto l’ordine di graduatoria di merito, come avviene in tutte le amministrazioni dello Stato. C’è poi da tenere conto del rendimento, della frequenza delle lezioni, delle assenze, dei lavori svolti. Sono tutti criteri inseriti nell’ordinamento scolastico, cioè in una legge, la cui violazione consente di ricorrere al giudice amministrativo. Fissando invece la discrezionalità del Preside nella valorizzazione delle risorse umane, credo si ledano principi costituzionali. Del resto già Aristotele aveva detto: “Preferisco essere governato dalle leggi piuttosto che dagli uomini”. Egli intendeva riferirsi sia alle leggi della Costituzione che devono essere rispettate dai governanti, cosa che spesso non accade, sia al buon andamento della Pubblica Amministrazione, che deve essere organizzata in base a criteri oggettivi fissati nella legge. Abbiamo visto già la devastazione delle Università italiane per una malintesa autonomia divenuta arbitrio, per cui autentici ignoranti sono in cattedra come inchieste serie hanno documentato.
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