Università Parthenope, sotto inchiesta il rettore per un viaggio a Mykonos

La replica: “Niente favori nè benefici”

Dovrà difendersi da un’ipotesi di corruzione, nell’ambito di una più ampia inchiesta legata agli appalti pubblici in Campania. È atteso la prossima settimana, dinanzi al giudice Marrone, l’attuale rettore della Parthenope Antonio Garofalo, per replicare alle prime conclusioni della Procura di Napoli, in relazione a un appalto legato a portierato e vigilanza nei locali dell’università napoletana. Nei suoi confronti, gli inquirenti hanno chiesto l’applicazione del divieto di dimora a Napoli.

L’appalto da 4 milioni di euro sotto la lente degli inquirenti

Ora si attende l’interrogatorio preventivo dinanzi a un giudice, nel corso del quale il rettore avrà modo di dimostrare la correttezza della propria condotta. Un appalto da 4 milioni di euro, verifiche in corso sul ruolo di un presunto intermediario, a sua volta legato da un rapporto di amicizia con il rettore. Inchiesta condotta dai pm Maurizio Giordano e Vincenzo Ranieri, sotto il coordinamento dell’aggiunto Michele Del Prete, l’ipotesi di fondo è residuale: Garofalo – scrivono i pm – avrebbe ricevuto agevolazioni per un breve soggiorno a Mykonos, in cambio di un intervento sul contratto che avrebbe favorito un certo gruppo imprenditoriale. Nulla di più falso, secondo quanto sostiene chi conosce il rettore, da sempre estraneo alla definizione delle procedure amministrative. Docente e manager in carriera, il rettore si dice convinto di dimostrare la propria trasparenza per quanto riguarda il viaggio nell’isola greca, vissuto a proprie spese e al riparo da contatti inopportuni. Sempre sul filone della vigilanza alla Parthenope, gli inquirenti parlano infatti di una presunta tangente di 30mila euro che sarebbe stata elargita da uno degli indagati “a un ignoto pubblico ufficiale della Parthenope”: soggetto rimasto “ignoto”. Anche in questo caso, si cercano riscontri

Le accuse al rettore dell’Università Parthenope

Per i pm ci sarebbe stato un sistema teso a condizionare l’assegnazione degli appalti tra Campania (per lo più il Casertano) e Sicilia. Indagini per associazione per delinquere di tipo mafioso, corruzione, turbativa d’asta e riciclaggio, coinvolte, a vario titolo, 34 indagati. A capo del presunto sistema criminale ci sarebbe il 64enne Nicola Ferraro di Casal di Principe, già condannato in via definitiva per avere ricoperto il ruolo di referente del clan dei Casalesi (in particolare per la fazione facente agli Schiavone) nel settore degli appalti. A Ferraro, si sarebbero rivolti diversi clan tra cui i D’Alessandro.

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