“Se avessimo aperto tutto in una volta avremmo sicuramente alterato la qualità dell’offerta formativa e non è quello che vogliamo, però non vogliamo neanche mantenere un numero chiuso che consideriamo ingiusto e anacronistico. Perché nei numeri che ci danno le associazioni di categoria non sono completi, mancano quelli dei medici che lavorano ad esempio nelle strutture farmaceutiche quindi la nostra idea è quella aumentare progressivamente ogni anno di 4 mila, quest’anno abbiamo aumentato di 7 mila, visto che ci ho messo molti fondi, 50 milini, si consentisse ad altri 3 mila studenti di entrare a partire da quest’anno”, lo dichiara Anna Maria Bernini, ministro dell’Università e della Ricerca, a risposto a Corriereuniv.it riguardo gli ingressi a Medicina, a margine dell’assemblea nazionale di Farmindustria, presso l’Auditorium Conciliazione a Roma.
“Ogni riforma comporta sacrifici da 25 anni tutte le forze politiche promettono di cambiare un modello che non funzionava, un modello solo selettivo e non sui contenuti richiesti per diventare medico”. È stato necessario trovare un equilibrio tra “qualità dell’offerta formativa e diritto per tutti di accedere alla formazione. La politica aveva promesso di aprire in maniera indiscriminata, ma quello siche avrebbe scassato il sistema e non avrebbe garantito l’offerta formativa”.
Spazi nelle Università per gli ingressi a Medicina
“Posti disponibili? Mi auguro ci siano per tutti. Le università più grandi si stanno organizzando, quelle che hanno detto faranno solo l’online si stanno organizzando. L’Università va aperta, non era più possibile che i nostri ragazzi lanciassero una monetina. L’imbuto non c’è più per le specializzazioni ma ci sono dei bandi che vanno a vuoto perché quelle specializzazioni come medicina d’urgenza o anatomia patologica sono poco fruibili. Stiamo lavorando ad un disegno di legge che arriverà in Senato”. E sui cervelli in fuga e le azioni messe in campo per attrarli dagli Stati Uniti afferma: “Non sono arrivati in molti in realtà, in Europa in generale, stiamo cercando di attrarre quelli in materie stem, molti ci chiedono di finanziare le ricerche in loco, ma finanziare la ricerca americana anche no. O vengono in Italia e ci mettono in condizioni di usufruire delle loro capacità di ricerca allora si ma se dobbiamo investire fondi italiani in America non è conveniente. Il disinvestimento di Trump non ha aperto una cascata, si ragiona sul fatto che l’Europa con le nuove infrastrutture di ricerca è un interlocutore interessante”.
Leggi anche altre notizie su CorriereUniv