Ricerca, un decreto riscriverà i contratti post-laurea. Fioravante (Adi) a Corriereuniv: “Ci stanno chiedendo di scegliere tra la borsa di sei mesi o la vita”

Per la segretaria dell’associazione dei Dottorandi e Dottori di Ricerca in Italia la riforma: “Peggiorerà l’attrattivà delle carriere italiane e incentiverà di più ad andarsene”

Precari per sempre? Il rischio della nuova riforma dei contratti per i post laureati che vogliono fare ricerca è di essere precari anche per 15 anni. È in arrivo, infatti, a meno di due anni di distanza dalla riforma dei contratti di ricerca, una “controriforma” dell’attuale governo, voluta dal ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, che vorrebbe portare a sei le figure di contratto post-laurea, quelle che dovrebbero accompagnare un ricercatore ai concorsi per diventare professore, affidando a borse, in alcuni casi di soli sei mesi, la sopravvivenza dei futuri studiosi.

Il contratto nazionale è solo una delle sei figure post laurea

Nella bozza che il segretariato e la direzione generale del ministero dell’Università e della Ricerca hanno consegnato all’ufficio legislativo interno e a quello del ministero dell’Economia e delle finanze, viene confermato — tra le sei figure — il cosiddetto contratto nazionale per la ricerca per chi è in possesso di un dottorato: sono due anni di lavoro subordinato in cui lo studioso, finalmente considerato un lavoratore, è pagato per 35.000 euro lordi l’anno, può accedere alla Naspi che consente i contributi per la disoccupazione e ha garanzie sul fronte dell’eventuale malattia e della possibile maternità.

Questo contratto di ricerca, approvato alla fine della scorsa legislatura su un emendamento di Francesco Verducci, allora vicepresidente (Pd) della commissione Istruzione del Senato, con il governo di centrodestra non ha conosciuto né decreti attuativi né finanziamenti. È rimasto lettera morta e le università italiane, in mancanza di un accordo tra governo e sindacati e non avendo intenzione di farsi carico di un costo quasi raddoppiato rispetto alla figura dell’assegnista, hanno continuato a pagare la ricerca alla vecchia maniera: poco e per periodi brevi. “Oltre alla volontà della ministra di non applicare il contratto, i sindacati chiedevano di normare tutta la fattispecie giuridica invece che solo il trattamento economico, il ministero ha avuto gioco facile nel dare la colpa al fallimento delle trattative Aran – afferma a Corriereuniv.it Rosa Fioravante, segretaria dell’Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca in Italia (Adi) -. Ad ogni modo basta vedere la scorsa legge di bilancio: le risorse per il contratto non c’erano, nemmeno un euro (né per qualunque altra forma di impiego significativo in numero di posti e decente per condizioni sul comparto post doc)”,

La bozza del decreto

La bozza della riforma Resta-Bernini prevede, oltre al “contratto di ricerca”, altre cinque figure con relativi trattamenti. La seconda è uno strumento, non meglio precisato, per chi è ancora uno studente. Ancora, ci sono “borse di assistenza alla ricerca”, sia per studiosi junior che per ricercatori senior. Quindi, è previsto un contratto post-doc per i dottorati “che migliora quello esistente”, sottolineano dal ministero. Il decreto è stato confezionato dalla Conferenza dei rettori (Crui) attraverso l’ex presidente, nonché ex rettore del Politecnico di Milano, Ferruccio Resta, attraverso un gruppo di lavoro formato da sette esperti formato lo scorso ottobre dal ministro Anna Maria Bernini.

Il decreto è all’ultimo passaggio ministeriale e, come conferma il Mur, sarà reso pubblico subito dopo le elezioni europee. Proprio il ministro Anna Maria Bernini lo scorso 5 ottobre aveva istituito un gruppo di lavoro formato da sette esperti (senza alcun rappresentante del mondo del precariato né di quello sindacale) per analizzare l’esistente e proporre soluzioni. Il gruppo era guidato dall’ex presidente della Conferenza dei rettori, Ferruccio Resta. Resta ha confermato al quotidiano Repubblica di aver consegnato un progetto di lavoro alla ministra ispirato al documento Crui dell’aprile 2021 che prevedeva, appunto, ricercatori post-doc (dopo il dottorato) per periodi di uno-tre anni e contratti di ricerca dopo la laurea tra i sei mesi e i tre anni.

Fioravante (Adi): “Mai stati chiamati dalla ministra che forse si vergogna”

“Abbiamo mandato tre richieste di incontro alla ministra, ignorate. Mai stati chiamati – conferma a Corriereuniv.it Rosa Fioravante, segretaria dell’associazione dei ricercatori -. Non mi stupisce: dal ministero sanno che i nostri dati sono corretti. Servono risorse importanti sia per sostenere l’intero comparto universitario – interi atenei rischiano di non essere sostenibili in pochissimi anni – sia per dare ai ricercatori le condizioni di dignità minima che hanno i colleghi in Europa”. Il rischio è di portare avanti il precariato e perpetrare la fuga di cervelli in Italia. “Un sistema sano – continua Fioravante – prevede dottorato e poi massimo 3 anni di precarietà prima di iniziare la Tenure track. In italia se ne fanno dieci, con questa riforma se ne faranno anche quindici. Il tutto in un Paese che é sotto organico su ogni figura universitaria, dal ricercatore post doc al professore ordinario”.

Il rischio è di isolare sempre di più l’Italia dalla grande ricerca europea e internazionale. “Questa riforma peggiora l’attrattivà delle carriere italiane che già non interessano ai colleghi esteri (i dati sono chiarissimi) e incentiva gli italiani ancora di più ad andarsene. Ci stanno chiedendo di scegliere tra la borsa di sei mesi o la vita, letteralmente. La precarietà é nemica della qualità e loro lo sanno. Immagino – conclude Fioravante – che la ministra Bernini non ci abbia mai ricevuto in questo anno e mezzo perché tutte queste cose le sa e si vergogna“.

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