Il governo approva la riforma del reclutamento: addio all’abilitazione scientifica nazionale

I docenti saranno valutati ogni due anni da commissioni istituite nei singoli atenei. L’associazione dottorandi: “Cambia solo negli annunci”

Il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge che cambia il reclutamento degli insegnanti nelle università. Proposto dalla ministra dell’Università Anna Maria Bernini, modifica le modalità di valutazione e di fatto sembra svuotare l’Abilitazione scientifica nazionale (Asn), introdotta con la legge Gelmini nel 2010. A sostituirla sarà un sistema di autocertificazione dei requisiti, caricati su una piattaforma telematica del ministero.

Cosa prevede la riforma del reclutamento

La proposta di riforma prevede che i nuovi docenti universitari siano valutati ogni due anni, e queste valutazioni influenzeranno i fondi destinati agli atenei: chi assume i candidati migliori avrà più risorse. A cambiare però è il modo in cui si scelgono i “migliori”. Secondo le norme applicate finora tramite l’Abilitazione scentifica, i ricercatori seguivano un percorso doppio, che li abilitava dopo aver vinto un concorso. Un metodo che si inceppava per due motivi: da un lato creava sacche di persone che maturavano i requisiti per l’abilitazione ma non avevano accesso a un posto, dall’altro veniva valorizzato soltanto il percorso di pubblicazione scientifica e non la storia professionale del singolo accademico. Con il nuovo metodo, lo Stato fisserà dei requisiti nazionali, ma poi le commissioni giudicatrici dei singoli atenei potranno valutare aspetti specifici attualmente esclusi, ad esempio la capacità didattica dei professori o la terza missione, cioè il contributo degli universitari alla società.

“Come associazione siamo sempre stati contrari all’Abilitazione scientifica nazionale perché basata sul meccanismo del “pubblica o muori”, senza considerare le competenze trasversali dei docenti”, spiega a Corriereuniv.it Raffaele Vitolo, coordinatore dell’area ricerca dell’Associazione di dottorandi e dottori di ricerca (Adi). “Una riforma serviva ma questa rischia di peggiorare le cose”, avverte.

I rischi di avere un sistema di valutazione locale

Da un lato si rischia il venir meno della trasparenza nella valutazione, che sarà affidata a commissioni composte da un membro interno e da componenti esterni selezionati tramite sorteggio, ma che coinvolgerà docenti locali e del settore scientifico-disciplinare oggetto del bando, senza un controllo nazionale. Dall’altro il rischio è che “tutto cambi perché nulla cambi”: il meccanismo di Bernini infatti introduce un premio per chi, “nel periodo successivo all’assunzione, dimostra con indicatori di produttività, con pubblicazioni e con l’attività complessiva, di aver contribuito al miglioramento della qualità delle attività dell’università che li ha reclutati”. Quindi viene comunque premiato chi pubblica più articoli, come Avveniva con l’abilitazione scientifica nazionale.

Secondo Vitolo, è principalmente per questi due motivi che la riforma non migliora realmente le cose: “Questo testo depotenzia un sistema centralizzato che potrebbe essere sintomo di garanzia e scarica tutto sulle commissioni locali sottraendo tutele di trasparenza ai ricercatori e spingendoli ancora una volta a guardare soltanto alle pubblicazioni. Siamo di fronte a un sistema che cambia ma solo negli annunci”. Riguardo la cooptazione dovuta al professore interno all’Ateneo rispetto alla valutazione: “La cooptazione diventa un problema in un sistema sottofinanziato come il nostro, mentre in quelli molto finanziati come in altri paesi europei viene accettata. Bisognerebbe cambiare il paradigma e l’unico modo per farlo non è cambiare la norma con scarsi finanziamenti ma avere la volontà politica di finanziare edeguamente il sistema universitario e di ricerca – afferma Vitolo -. I soldi spesi per creare una prigione in Albania sarebbero bastati per risolvere questa problematica”.

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