La NASA ha reso noto che il rover Perseverance, al lavoro su Marte dal 2021, ha individuato nel cratere Jezero potenziali biofirme, ossia tracce organiche e formazioni minerali che potrebbero avere origine biologica. Lo studio coinvolge anche l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), come riportato da Virgilio.
Cosa sono queste tracce
Tra i campioni prelevati, spicca quello denominato “Sapphire Canyon”, raccolto nel 2024 dalla formazione Bright Angel nella valle di Neretva. Queste rocce sedimentarie, formatesi miliardi di anni fa in quello che un tempo era un antico lago, presentano noduli minerali ricchi di carbonio, fosfati di ferro e solfuri—elementi che, sulla Terra, spesso si associano a processi microbici. Tuttavia, gli scienziati sottolineano che non è ancora possibile escludere completamente un’origine non biologica.
Il contributo italiano e le prospettive
Lo studio, pubblicato su Nature, include ricercatori italiani dell’INAF, che hanno collaborato nell’analisi dei campioni.
La conferma della presenza di vita microbica antica, però, potrà arrivare solo quando questi materiali marziani saranno riportati sulla Terra per essere studiati con strumenti più precisi.
Un passo avanti nella ricerca spaziale
Sean Duffy, amministratore ad interim della NASA, ha definito la scoperta “il segno più chiaro finora” della possibile esistenza di forme di vita su Marte. Tuttavia, ha precisato che il dato resta chiamato “potenziale biofirma” finché non si saranno svolte ulteriori verifiche e analisi.
Lo studio allarga anche il dibattito su quanto Marte sia stato abitabile per un arco temporale più esteso di quanto si ipotizzasse, alla luce dei nuovi dati geologici e chimici.
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