Un’analisi critica su ciò che non funziona e cosa si potrebbe cambiare:
In Italia il numero di laureati tra i 24 e i 34 anni è tra i più bassi d’Europa: 30,7% contro una media UE del 44,2% (dati di dicembre 2024). Il tasso di fuori corso resta elevato, l’età media alla laurea è ancora sopra i 27 anni per magistrali e corsi a ciclo unico, e molti giovani si affacciano al mercato del lavoro troppo tardi. Il Professor Michele Ciavarella, ordinario di Ingegneria Meccanica del Politecnico di Bari, parla di «un fenomeno strutturale, aggravato dalla scarsa continuità con il mondo scolastico e da un’impostazione accademica che talvolta tende a disorientare gli studenti».
Il salto scuola-università e il problema della disorganizzazione
Il passaggio dal liceo all’università si presenta spesso come un trauma sottovalutato. L’improvvisa libertà organizzativa, il numero elevato di studenti per corso e l’assenza di un tutoraggio reale portano molti a perdersi già nei primi mesi. L’illusione più diffusa è quella di costruirsi un percorso “ideale”, posticipando esami e selezionando corsi in base alla facilità percepita. Ma questa strategia si rivela fallimentare: si sacrificano lezioni fondamentali, si accumulano dubbi mai risolti, si genera ansia da prestazione. Come scrive Ciavarella, «molti studenti si perdono nella ricerca di una sequenza ideale di esami, rinviando corsi e rimandando problemi».
Un’università troppo libera può diventare una trappola
Il sistema universitario italiano garantisce una libertà quasi totale nel decidere tempi e modalità, ma questa flessibilità può ritorcersi contro. «Con l’esame ad libitum abbiamo creato un circolo vizioso: lo studente si prepara male, il docente boccia più facilmente». In altri paesi, invece, la libertà viene equilibrata da vincoli più rigorosi: in Germania, dopo tre tentativi falliti, si è esclusi dal corso di studi. In Francia, il sistema prevede obbligo di frequenza, verifiche periodiche e modalità simili a quelle scolastiche. Negli Stati Uniti, spesso sono i compiti settimanali a determinare il voto finale. Modelli diversi, ma più strutturati e con un’idea precisa: lo studente va seguito, non solo valutato.
Contano i contenuti, non solo le modalità
Un’altra distorsione ricorrente riguarda l’attenzione eccessiva alla forma d’esame, piuttosto che alla comprensione reale dei contenuti. «Dispiace vedere che la maggior parte delle domande all’inizio di un corso riguardano la modalità d’esame», scrive il docente. Anche la scelta del materiale incide: spesso i testi indicati sono complessi o poco chiari, ed è utile affiancarli ad altre fonti. “Il problema non è lo studente, ma la chiarezza del libro di testo. Consiglio di usare più fonti». Il confronto tra manuali, unito se necessario ad un’uso critico e consapevole dell’intelligenza artificiale, può accelerare la comprensione ed evitare errori di fondo.
Verso una cultura della partecipazione
L’università non dovrebbe essere un parcheggio né un percorso a ostacoli. Ma servono scelte più consapevoli, partecipazione attiva e senso di responsabilità. Studiare con continuità, seguire le lezioni, programmare sin da subito gli esami: sono indicazioni semplici ma decisive, perché un sistema più efficace nasce anche da una cultura della partecipazione.
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