Roma – Simone è nato con una malattia rarissima, il deficit di AADC (decarbossilasi degli aminoacidi aromatici), una patologia genetica che impedisce al cervello di produrre dopamina e noradrenalina, due molecole fondamentali per trasmettere i segnali nervosi e coordinare i movimenti del corpo. Per lui, ogni gesto era impossibile: niente camminate, niente autonomia, solo una diagnosi che sembrava senza speranza. Ma oggi, Simone cammina da solo. A cambiare la sua vita è stato un intervento mai tentato prima in Italia, realizzato al Policlinico Umberto I di Roma in collaborazione con la Sapienza Università di Roma. Una procedura sperimentale di terapia genica intracerebrale, condotta con una precisione millimetrica, che ha portato alla modifica diretta del DNA dei neuroni del piccolo paziente.
La malattia e l’intuizione clinica
Il deficit di AADC si manifesta sin dalla nascita con grave ipotonia, ritardo psicomotorio e disabilità intellettiva. È talmente raro che non esiste una stima precisa del numero di pazienti in Italia o nel mondo. Il gene difettoso impedisce la produzione di dopamina e noradrenalina, rendendo ogni movimento, ogni apprendimento, un’impresa proibitiva. Fino a poco tempo fa, non esisteva alcuna terapia specifica.
Due anni fa, l’équipe guidata dal neuropsichiatra infantile Francesco Pisani ha individuato in Simone il candidato ideale per una nuova terapia sperimentale. Il primo passo è stato localizzare con una risonanza magnetica ad altissima precisione una piccolissima area del cervello, il putamen, sede dei neuroni deputati alla produzione della dopamina. In un bambino di quell’età, misura appena un centimetro.
L’intervento rivoluzionario
Il delicatissimo intervento – durato otto ore – è stato eseguito dal neurochirurgo Antonio Santoro e dal dottor Luca D’Angelo. Il bimbo, anestetizzato e stabilizzato, è stato sottoposto a una procedura stereotassica: una canula è stata guidata all’interno della testa attraverso una torretta di viti, fino al centro esatto del putamen. In entrambi gli emisferi cerebrali è stato iniettato eladocagene exuparvovec, un farmaco a base di un virus innocuo, in grado di trasportare una copia sana del gene malato.
Il risultato è straordinario: il gene terapeutico è stato incorporato esclusivamente nei neuroni bersaglio, lasciando intatte le altre cellule cerebrali. Simone oggi è totalmente autonomo nella deambulazione. Il linguaggio è ancora da sviluppare, ma il recupero motorio è già un successo clinico e umano senza precedenti.
Una sfida vinta dalla ricerca
Il Policlinico Umberto I è il primo ospedale pubblico in Europa ad aver somministrato con successo questa terapia, già applicata solo in pochissimi centri specializzati a Montpellier, Parigi e Heidelberg. E l’Italia si unisce così all’avanguardia mondiale nella cura delle malattie genetiche rare. «La storia di Simone ci rende orgogliosi» – raccontano i medici coinvolti. È il simbolo di una sanità pubblica che non si arrende di fronte all’impossibile, grazie all’unione tra competenze cliniche, ricerca universitaria e istituzioni. Sapienza Università di Roma e Regione Lazio hanno supportato ogni fase del percorso, dall’autorizzazione AIFA all’organizzazione logistica, trasformando perfino una sala di risonanza magnetica in un centro neurochirurgico d’avanguardia. L’intervento è stato possibile grazie a un’équipe multidisciplinare composta da specialisti in neurochirurgia, neuropsichiatria infantile, anestesia, neuroradiologia, terapia intensiva pediatrica, farmacia, ingegneria clinica, fisica sanitaria e numerose altre unità operative.
Oggi Simone ha una nuova possibilità. E con lui, anche la medicina italiana.
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