Coordinati dal docente Vincenzo Orioles, gli studenti hanno sottoposto agli intervistati una lista con dieci domande, ognuna delle quali presentava imprecisioni di varia natura: dall’uso del “ma” ad inizio frase alla sostituzione del congiuntivo con l’indicativo. I campioni sono stati classificati in base a tre criteri: età (fasce tra 18-30, 30-50 e oltre 50), sesso e status sociolinguistico.
“Una lingua è lo specchio di una cultura – sottolinea Orioles -, ne rappresenta i sistemi di valore e per questo è in continuo divenire. Ci sono termini che scompaiono, altri che cambiano di significato, si pensi alla notevole differenza dell’aggettivo ‘gentile’ nell’uso di Dante rispetto all’impiego corrente, e altri ancora, i neologismi, che vengono creati per descrivere oggetti e situazioni che prima non esistevano. Spesso sono proprio le regole grammaticali a essere modificate dai parlanti. O forse più semplicemente ignorate? È comunque un’evoluzione che viene definita neostandard o italiano dell’uso medio».
Come spiegano gli autori dell’indagine, tra le innovazioni più gettonate si annovera la formula invariante “che”, in sostituzione dei tipi introdotti da preposizione o articolo, per cui una frase come “maledetto il giorno che ti ho incontrato” non suscita grande scalpore, almeno dal punto di vista linguistico. L’uso dell’indicativo in sostituzione del congiuntivo è ormai un argomento di vecchia data, tanto che alcuni hanno già da tempo decretato la fine del congiuntivo. Ancora, si segnala il crescente utilizzo elencativo di “piuttosto che”, oltre che nell’originaria funzione oppositiva.
Anna Di Russo