Oggi (purtroppo) non basta più saper suonare
Nel 2024, essere musicisti significa anche capire Spotify, conoscere i modelli di distribuzione, imparare a gestire le metriche digitali e, sempre più spesso, convivere con l’intelligenza artificiale. Il talento conta, ma da solo non basta: servono competenze trasversali, identità forte e capacità imprenditoriale.
Massimo Bonelli, musicista, manager e ideatore del Concertone del Primo Maggio di Roma, ha vissuto in prima persona tutte le trasformazioni dell’industria musicale. Oggi è anche autore del libro PLAY – Tutto quello che c’è da sapere sulla musica attuale, un manuale che unisce esperienza diretta e sguardo strategico. Con lui abbiamo parlato del presente e del futuro del lavoro dell’artista.
Lei è un eclettico: manager, conduttore, editore, consulente musicale… come si orienta tra tutto questo?
Non lo so nemmeno io! (ride) Spesso mi sento sopraffatto, ma ho bisogno di tenermi occupato. Fare tante cose è una mia necessità.
Come ha iniziato con la musica?
Tutto è partito dalla scrittura di canzoni. Avevo una band, registravamo dischi, facevamo concerti. Studiavo ingegneria, ma il mio sogno era vivere di musica. A un certo punto ho capito che non bastava: volevo di più, così sono passato “dall’altra parte della scrivania”. Mi occupo di produzione e management, ma ho conservato l’anima dell’artista. Questo mi dà una visione completa del settore.
Com’era fare musica negli anni Duemila rispetto a oggi?
Vent’anni fa si vendeva un supporto fisico. Oggi la musica è un servizio in streaming. È cambiato tutto: la tecnologia ha trasformato l’intero modello di business. E adesso c’è l’intelligenza artificiale generativa, che mette in discussione equilibri già fragili. L’unica costante è il cambiamento continuo.
Oggi un artista deve pensare anche come imprenditore?
Assolutamente sì.
Non basta “fare arte” e sperare che venga notata. In un mercato in cui escono migliaia di canzoni al giorno, serve un’identità chiara, ma anche competenze tecniche: distribuzione digitale, marketing, promozione.
Nel mio libro PLAY ho raccolto tutto questo: guadagni da Spotify, intelligenza artificiale, nuove strategie. Un quadro chiaro per chi vuole capirci davvero qualcosa.
Quando la musica diventa un business vero?
Dal punto di vista economico, anche una piccola fanbase autentica può bastare. Non servono milioni di stream: bastano 1.000 fan disposti a spendere 10 euro al mese. È il business dell’anima: se la tua musica tocca le persone, loro saranno disposte a sostenerti.
Organizza il Concertone del Primo Maggio: quanto è difficile un evento del genere?
È stressante, enorme, quasi folle. Ma anche emozionante. Lo faccio da undici anni: è una macchina gigantesca, e ogni volta è una palestra. Ho imparato a prevedere i problemi grazie agli studi di ingegneria: servono lucidità, visione e molta attenzione al bilancio economico.
Cosa cerca nei giovani collaboratori?
Cerco fame, non comodità. Voglio persone che propongano idee, non che aspettino ordini. Il lavoro del futuro sarà sempre più personalizzato: chi sa adattarsi avrà successo.
Che consiglio darebbe a chi sogna una carriera nella musica?
Lavorate sulla vostra identità.
Studiate i meccanismi del settore.
E ricordate che la musica, prima di tutto, serve a stare bene. Il successo vero non è una vetta da scalare, ma la capacità di stare bene con se stessi, senza dover dimostrare nulla a nessuno.
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