Il giudizio sul semestre filtro degli iscritti alle Facoltà di Medicina “è molto buono. Mi dispiace solo che – non c’è un filo di polemica in questo – visto che il 90% degli studenti era in aula, si sia dovuta interrompere la presenza alle lezioni per le occupazioni delle facoltà. Questo è un peccato perché avevamo detto che sarebbe stato opportuno che gli studenti di Medicina entrassero in contatto con la realtà vera degli atenei che è quelle delle aule. Purtroppo una parte delle università ha dovuto svoltare sulla didattica a distanza perché le aule erano occupate. Però ora finirà, faranno la loro prima verifica che sono esami, questa la vera differenza. Il vero cambio di paradigma per l’accesso a Medicina è che prima la selezione si faceva senza formazione e sulla base di un test solo selettivo e non formate. Oggi con il semestre libero i ragazzi si possono formare e fare gli esami”. Così il ministro dell’Università e Ricerca, Anna Maria Bernini, a margine della presentazione oggi al Quirinale dei Giorni per la ricerca della Fondazione Airc, rispondendo alle domande dei giornalisti sull’andamento del semestre filtro a Medicina.
Semestre filtro: esplode il caso della “doppia soglia di ammissione”
Intanto è caos sul semestre filtro per l’accesso ai corsi di laurea in Medicina, Chirurgia e Odontoiatria. A un mese dall’avvio del nuovo sistema, il ministero dell’Università e della Ricerca ha fissato una soglia minima di frequenza pari al 51% delle lezioni per ciascuna materia (Biologia, Chimica e Fisica), richiedendo, tuttavia, sempre il rispetto delle diverse percentuali di frequenza previsti dai regolamenti didattici dei singoli atenei. Il risultato è una disparità di trattamento senza precedenti, con università che adottano criteri completamente diversi, trasformando un requisito uniforme in un ostacolo variabile a seconda della città. In sostanza, a parità di frequenza, uno studente che ha seguito il 68% delle lezioni può essere ammesso a Roma ma escluso a Udine o Salerno.
“È una disparità di trattamento illogica e inaccettabile – denunciano le associazioni studentesche – non può essere il singolo ateneo a determinare i criteri di accesso a un corso di laurea con test d’accesso nazionale. Oggi, invece, a parità di impegno e frequenza, uno studente rischia di essere escluso solo per ragioni geografiche. È un corto circuito normativo che mina la credibilità della riforma e mette in discussione la sua presunta equità”. Quali sono le soluzioni? “Il ministero – proseguono gli studenti – ha l’obbligo di intervenire subito per uniformare i criteri. Non è accettabile che un diritto così importante come l’accesso alla formazione medica dipenda dal luogo in cui uno studente studia. Questa è una discriminazione territoriale e normativa che rischia di generare centinaia di ricorsi”.
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