Partiti dall’osservazione che nel tessuto infartuato, dopo l’infusione delle staminali riparatrici, le stesse subiscono un “processo di lavaggio” da parte del flusso sanguigno e dalla contrazione cardiaca che le porta lontano dal cuore e le riduce di numero fino a farne rimanere solamente il 10% di quelle iniettate, spiega Eduardo Marban – direttore del Cedars Sinai Heart Institute, i ricercatori si sono posti la domanda di come migliorare la tecnica impiantistica per guidarle nella zona da guarire e farcele rimanere il più possibile al fine di ottenere risultati più efficaci.
La risposta, testata in un gruppo di topolini infartuati, è stata quella di “potenziare” le cellule staminali, destinate a riparare il tessuto cardiaco, con “microparticelle” di ferro.
Una volta iniettate le cellule staminali così “potenziate”, è stato sufficiente posizionare un semplice magnete sopra il cuore per guidarle ed attrarle attorno alla lesione cardiaca. Così facendo si è riusciti a triplicare (30%) il numero delle cellule che riescono, dopo 24 ore, a stazionare attorno alla lesione ed a svolgere la loro azione riparatrice.
La procedura sul primo paziente è stata portata a termine nel giugno dell’anno scorso ed i risultati completi della sperimentazione sono attesi per l’inizio del 2011.