Oggi, 17 maggio, si celebra la giornata mondiale contro l’omofobia e la transfobia. Parliamo di questi temi con Paolo Valerio(in foto), ordinario di Psicologia Clinica presso l’Università di Napoli Federico II e responsabile della piattaforma contro il bullismo omofobico promossa dall’ateneo partenopeo .
È ovviamente, pare scontato dirlo, importante denunciare qualunque tipo di violenza non solo per un sentimento di giustizia e per la rivendicazione dei propri diritti ma anche e soprattutto per il valore simbolico della denuncia. Ogni denuncia può dare ad un’altra vittima di un’altra violenza forza e coraggio per denunciare a sua volta l’aggressione subita. È però necessario, da parte delle istituzioni, un grosso lavoro di formazione e sensibilizzazione su questi temi; lavoro che non va diretto solo alle “vittime” ma soprattutto ai professionisti che per primi intercettano queste forme di violenza. È in questa direzione che lavoreremo attraverso il Progetto Hermes; con la Dott.ssa Anna Lisa Amodeo, coordinatrice del progetto e con l’aiuto dell’Europa che, nell’ambito del Programma Daphne III, ha concesso un finanziamento che ammonta a € 490.000, nei prossimi due anni lavoreremo sulla prevenzione e formazione su questi temi. Università, Associazioni ed Istituti di ricerca nazionali e internazionali lavoreranno insieme per un obiettivo comune: stringere la maglia protettiva per le vittime di queste forme di discriminazione. Nel corso dei due anni, a Napoli, Madrid e Dublino, medici, forze dell’ordine, avvocati, insegnanti saranno formati su come riconoscere, prevenire e contrastare le discriminazioni verso le donne e la popolazione LGBT”.
Prof. Valerio, qual è il suo messaggio ai giovani nella giornata mondiale contro l’omofobia?
“Innanzitutto vorrei soffermarmi sulla parola omofobia. Oggi più che mai si parla di omofobia, ma che significa essere omofobi e vivere in una società omofoba? Nel farlo voglio utilizzare le parole del collega Pietrantoni: Quando un adolescente afferma «basta che i froci mi stiano alla larga», o quando un adulto, dopo uno spontaneo gesto intimo a una persona dello stesso sesso, si affretta a dire «non pensate male, non sono mica un finocchio», o ancora quando un ragazzo gay pensa «non sono un bell’esempio per gli altri», ecco, questi gesti hanno un nome preciso: omofobia. L’omofobia la possiamo praticare, ignorare, tollerare e contrastare. Non chiamarla omofobia è di per sé espressione di omofobia. Nello specifico omofobia si usa per indicare l’intolleranza e i sentimenti negativi che le persone hanno nei confronti degli uomini e delle donne omosessuali. Essa può manifestarsi in modi molto diversi tra loro, dalla battuta su una persona gay che passa per la strada, alle offese verbali, fino a vere e proprie minacce o aggressioni fisiche. Cosa vorrei dire ai giovani in occasione della giornata sull’omofobia. Forse questo: il lavoro a cui tutti siamo chiamati a rispondere è quello dell’accoglienza delle differenze. Per dare sostanza a quello che può sembrare uno spot voglio ricordare una bellissima serie televisiva, Queer as Folk. Nell’ultimo episodio dell’ultima serie, successivamente ad un attacco bomba al Babylon, famosa discoteca GLBT, Michael riceve la proposta di rappresentare il Comitato per i Diritti Umani e nel corso di una conferenza stampa fa un discorso molto toccante «Ho un compagno, due bellissimi figli, una casa, una piccola impresa la verità è che sono come voi […] In realtà questo non è vero, certo voglio le stesse cose che volete voi, essere felice, vivere in sicurezza, mettere qualche soldo da parte… ma in altri aspetti la mia vita non è come la vostra, poi perché dovrebbe?! Dobbiamo vivere allo stesso modo per avere gli stessi diritti? Io pensavo che questo paese fosse fondato sulle differenze. […] Mia madre che è in piedi in fondo alla sala con i miei amici una volta mi ha detto che le persone sono come i fiocchi di neve ognuno è speciale ed unico, ma essere diversi è ciò che ci rende tutti uguali”.