Anche gli ultimi attivisti della Flotilla, trattenuti in Israele, tornano a casa. L’annuncio è arrivato domenica sera dal ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani. “Partiranno domani (lunedì, ndr) con un volo charter per Atene – spiega -. Saranno assistiti dalla nostra ambasciata sia alla partenza e poi in Grecia nel trasferimento verso l’Italia”. Il vicepremier ringrazia “sinceramente” tutto il personale del ministero, i diplomatici in Israele e nelle altre sedi interessate per “il capillare lavoro di assistenza compiuto in questi giorni”. Si tratta degli ultimi 15 italiani.
Sabato scorso l’arrivo all’aeroporto dei Fiumicino dei giornalisti e degli altri politici non parlamentari italiani della Flotilla, tra cui la giornalista di Radio Bullets, Barbara Schiavulli: “È stato molto duro. Una di noi donne è stata molto strattonata ma soprattutto ci sono state violenze psicologiche, non abbiamo dormito, non abbiamo bevuto acqua se non quella del bango. Giravano sempre con le armi e i cani, Ero al porto quando il ministro Ben Gvir ci ha chiamato terrorista. Ma terrorista non è chi porta degli aiuti ma chi fa male alle persone”.
Con il passare delle ore arrivano nuovi dettagli sulla detenzione degli attivisti della Sumud Flotilla. Racconti forniti proprio da chi, dopo l’abbordaggio delle barche della missione umanitaria diretta a Gaza, si è ritrovato dietro le sbarre. Tra i 26 connazionali rientrati nella tarda serata di sabato in Italia c’è chi parla di “aggressività e odio forti” mostrati nei loro confronti. “Ci hanno trattato come trattano i terroristi” sostiene Cesare Tofani, uno dei 18 italiani atterrati allo scalo di Roma Fiumicino e accolti da circa 200 persone tra lacrime, abbracci e bandiere palestinesi. Feste anche per gli altri otto connazionali arrivati nella notte a Milano Malpensa. Nel gruppo il consigliere regionale dem Paolo Romano.
Le loro testimonianze si intrecciano con quelle raccolte dal team legale internazionale che sta seguendo gli oltre 300 attivisti ancora detenuti in Israele. Gli avvocati di Adalah denunciano “gravi abusi subiti” dai partecipanti alla Global Sumud Flotilla: detenuti in celle sovraffollate, alcuni costretti a dormire sul pavimento, scorte di acqua e cibo inadeguate. Diversi – aggiungono – hanno riferito di essere stati interrogati da personale non identificato e altri hanno denunciato maltrattamenti e abusi da parte delle guardie carcerarie. Qualcuno ha riportato ferite alle mani, “altri sono stati bendati e ammanettati per periodi prolungati. Una donna ha riferito di essere stata costretta a togliersi l’hijab e di aver ricevuto solo una camicia in sostituzione, mentre altri hanno denunciato restrizioni nell’esecuzione delle preghiere”.
Il destino degli aiuti
Mentre resta il mistero sulla sorte degli aiuti che la missione trasportava sulle oltre quaranta imbarcazioni bloccate da Israele, la ‘Flotilla bis’ continua a navigare verso la Striscia e nel giro di un paio di giorni potrebbe arrivare nella zona a rischio. Sulla rotta per Gaza ci sono nove imbarcazioni della ‘Freedom Flotilla coalition’ e della Thousand Madleens’, partite da Catania e da Otranto. Due barche, la Al Awda e la Ghassan Kanafani, hanno però interrotto il viaggio. “Siamo costretti a fermarci, lo facciamo con rammarico” spiega sui canali social l’attivista Francesca Amoruso, a bordo di Al-Awda. “La nostra nave di appoggio Ghassan Kanafani ha subito due avarie – racconta – ed è stata sottoposta a fermo dalla polizia portuale greca”.
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