Dal disegno industriale alla progettazione di sistemi urbani, dalla grafica al design dei servizi: oggi studiare Design significa muoversi in un campo trasversale che unisce creatività, metodo e impatto sociale.
Allo stesso tempo, il mondo dell’Architettura si evolve per rispondere alle sfide della contemporaneità: sostenibilità, digitalizzazione, nuovi materiali, intelligenza artificiale.
Per capire come cambia la formazione in questi ambiti, abbiamo intervistato la prof.ssa Antonella Lucibello, docente e direttrice del Sapienza Innovation Hub.
Professoressa Lucibello, che cosa si intende esattamente per Design?
Design significa “progetto”. È la disciplina che insegna a trasformare un’idea in qualcosa di concreto, riproducibile e utile.
Oggi il Design non è solo prodotto industriale, ma anche comunicazione visiva, servizio, sistema. Si progettano oggetti, ma anche esperienze, ambienti urbani, strumenti digitali.
Il termine “industriale” implica che ciò che si progetta debba poter essere riprodotto su larga scala, risolvendo bisogni reali e adattandosi ai processi produttivi.
Che cosa significa oggi entrare nel mondo dell’Architettura?
Significa acquisire un metodo per trasformare l’immaginazione in un progetto concreto, capace di migliorare la società.
Architettura oggi è spazio, paesaggio, prodotto, cantiere, comunicazione.
Ma progettare non è solo creatività: è struttura, metodo, processo. Per questo la didattica si basa su laboratori pratici, con un approccio “learning by doing”.
Quali sono le principali materie?
Nel primo semestre si affrontano discipline teoriche: matematica, scienza dei materiali, storia dell’arte, disegno.
Nel secondo semestre si passa ai laboratori progettuali, dove si lavora su casi reali applicando quanto appreso in aula.
Quali sono le principali difficoltà al primo anno?
Il tasso di abbandono non è alto. La natura pratica del corso aiuta a mantenere alta la motivazione.
Le sfide maggiori riguardano le materie tecnico-scientifiche, come matematica e disegno tecnico, ma sono previste attività di tutoraggio e strumenti digitali per colmare le eventuali lacune.
E gli sbocchi professionali?
Secondo Almalaurea, l’occupabilità è intorno all’80%. I laureati trovano lavoro in grandi aziende (come Ferrari, Google), studi di progettazione, enti pubblici o all’estero.
Il Design apre a settori diversi: grafica, user interface, prodotto, servizio.
A Roma il settore prodotto è meno sviluppato, ma i laureati riescono comunque a inserirsi nel mercato.
Esistono percorsi per chi vuole avviare una propria impresa?
Sì. Con il Sapienza Innovation Hub supportiamo l’autoimprenditorialità accademica:
formazione dedicata, contatti con il mondo del venture capital (come Cdp Venture), supporto a brevetti, spin-off e start-up.
L’obiettivo è valorizzare le idee degli studenti anche oltre il percorso accademico.
Come si stanno aggiornando i corsi su temi come intelligenza artificiale, sostenibilità, robotica?
Abbiamo inserito moduli su AI, interaction design, sostenibilità dei materiali, transizione ecologica e digitale, in linea con le direttive ministeriali.
Lavoriamo in dialogo con un comitato di indirizzo che include esponenti del mondo produttivo e accademico, per mantenere l’offerta formativa allineata con le esigenze del mercato.
Che consigli darebbe a chi si iscrive?
Scegliere con consapevolezza, non solo in base al gusto personale. Il design serve a migliorare la società, e questa è una motivazione fortissima.
Consiglio anche di studiare con impegno ma senza dimenticare di divertirsi e partecipare attivamente alla vita universitaria, fatta anche di relazioni, eventi, attività extra.
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