All’Università di Bologna cresce il malumore per la scelta di “interrompere ogni formale relazione e collaborazione con università, istituzioni e aziende israeliane”. Una mozione votata il 23 settembre in Senato accademico, contro cui arriva ora una lettera aperta indirizzata al rettore Giovanni Molari. L’iniziativa parte da un gruppo di professori tra cui Cesare Faldini, direttore della Prima clinica ortopedica all’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna, ma ha già raccolto una trentina di sottoscrizioni.
“Ci teniamo innanzitutto a chiarire che siamo pienamente consapevoli della grave situazione umanitaria in atto a Gaza, auspicando la completa soluzione del conflitto e il raggiungimento di una pace duratura. Tuttavia — scrivono i prof anti-boicottaggio — riteniamo che contrastare collaborazioni scientifiche con i ricercatori israeliani non sia uno strumento utile a tali fini“. Introducendo una mappatura delle collaborazioni scientifiche con realtà israeliane e vietando nuove iniziative, l’Ateneo rischia di “perdere la propria identità di luogo di apertura e dialogo”, accusano i firmatari della lettera aperta, secondo cui l’azione presa verso Israele “contrasta con i principi costitutivi dell’Alma Mater Studiorum”.
La ricerca universitaria, aggiungono, “non ha nazionalità, né appartenenza politica”. “Ogni volta che una Università viene colpita per le azioni del proprio governo, viene lesa la libertà del pensiero e si crea un precedente pericoloso: quello per cui la ricerca non è più valutata per la sua qualità, ma per la sua provenienza politica o geografica“, è il monito dei docenti anti-boicottaggio, per cui la delibera su Israele del Senato accademico solleva inoltre “questioni costituzionali e giuridiche di rilievo”.
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