Oggi 1 bambino su 50 nasce con una diagnosi di disturbo dello spettro autistico. Negli anni ’80 era 1 su 10 mila. Una crescita che non può più essere letta solo come effetto di una migliore capacità diagnostica, ma come segnale di una trasformazione sociale e sanitaria che interroga il presente. A livello globale si parla di 1 caso ogni 36 bambini, e in Italia di circa 4.300 nuove diagnosi all’anno, con una prevalenza maschile. Eppure la consapevolezza resta bassa: come ricorda un recente articolo del New England Journal of Medicine, l’autismo è ancora poco conosciuto anche tra molti operatori sanitari, con conseguenze dirette sulla qualità delle cure e sulla possibilità di reale inclusione.
Questi temi sono stati al centro della conferenza stampa al Senato dedicata alla presentazione del libro “Il mio cammino nell’autismo” di Amelia De Michele, psicologa e madre di due figli con autismo. L’incontro, moderato da Mariano Berriola, direttore di Corriere Università e Lavoro, ha visto la partecipazione della senatrice Valeria Valente, dell’autrice Amelia De Michele, della neuropsichiatra Emilia Sarnataro (AOU Federico II di Napoli) e della dirigente sanitaria Annamaria Schena.
Una testimonianza che diventa proposta
Nel suo libro, Amelia De Michele intreccia esperienza personale e professionale, raccontando con precisione e sensibilità il viaggio di una madre che ha imparato a conoscere e affrontare l’autismo non solo da genitore ma anche da terapeuta. «Mi sono formata laddove le istituzioni non arrivavano – ha raccontato – perché sentivo il bisogno di capire e di aiutare non solo i miei figli, ma anche altre famiglie. Nel libro spiego passo passo cosa possono fare, anche sul piano burocratico. È un testo nato per altruismo».
Da questa esperienza nasce anche un approccio lessicale nuovo: «Il termine disabilità non mi piace. Ho coniato la parola normabilità, perché ognuno, nella sua specificità, è normale. Ogni giovane con autismo è abile in qualcosa, e a che titolo dovremmo definirli disabili?».
L’autrice insiste inoltre sulla necessità di un cambiamento culturale, soprattutto nella scuola: «Servirebbe un’ora a settimana di alfabetizzazione emotiva, un momento in cui i ragazzi possano dire come si sentono e ascoltare l’altro. La comprensione nasce dal riconoscimento reciproco». Racconta anche le difficoltà incontrate nel percorso scolastico dei suoi figli: «Abbiamo trovato docenti di sostegno senza la giusta formazione: bisogna investire nell’educazione cognitivo-affettiva e nell’analisi del comportamento. Solo così si crea un’inclusione vera».
Valente: “Guardare all’autismo con occhi di giustizia, non di pietà”
Nel suo intervento, la senatrice Valeria Valente ha ringraziato l’autrice per aver scelto la via della testimonianza diretta:
«La spinta che ci chiede Amelia è di guardare all’autismo con occhi giusti. Non come un atto di solidarietà o di generosità, ma di giustizia e verità. È un modo di stare al mondo».
Valente ha ricordato i passi compiuti dalla politica, ma anche le lacune ancora da colmare:
«Dieci anni fa abbiamo approvato la legge 134 del 2015, che ha inserito l’autismo nei livelli essenziali di assistenza. Ma era solo un primo passo. Oggi stiamo lavorando a una nuova legge che guardi al fenomeno a tutto tondo: diagnosi precoce, formazione, scuola, opportunità per le famiglie e per le persone nello spettro».
E ha aggiunto, con un tono di autocritica verso la classe dirigente:
«In un Paese civile la salute psicofisica dovrebbe essere la priorità assoluta. Dobbiamo smettere di farci distrarre da temi marginali e investire davvero dove serve. La politica è all’altezza di questa sfida? Non sempre. Ma è questa la misura di un Paese che si definisce moderno».
Sarnataro: “Dietro ogni diagnosi, un progetto di vita”
Nel dibattito, la neuropsichiatra Emilia Sarnataro ha ricordato che il momento della diagnosi è solo l’inizio di un percorso complesso che deve coinvolgere più figure professionali:
«Ogni giorno visito decine di bambini e almeno dieci presentano disturbi dello spettro autistico. Il neuropsichiatra deve guidare la famiglia, ma non può essere lasciato solo: serve un’equipe multidisciplinare».
Sarnataro ha insistito sulla necessità di un progetto terapeutico individualizzato: «Non dobbiamo concentrarci solo sulle fragilità, ma anche sulle competenze. Ogni bambino ha risorse che vanno valorizzate. Se non lo facciamo, perdiamo un enorme potenziale per la società nel suo complesso».
Ha infine rivolto un appello alle istituzioni: «Serve rivedere la presa in carico fin dalla diagnosi e garantire continuità assistenziale: l’inclusione è possibile solo se chi vive l’autismo è circondato da una comunità che comprende e valorizza».
Schena: “Tecnologia e umanità possono convivere”
Un punto di vista innovativo è arrivato da Annamaria Schena, che ha presentato un progetto terapeutico basato sulla realtà virtuale e l’intelligenza artificiale:
«Abbiamo voluto trasformare la terapia in un momento ludico, non più vissuto con paura. Vedere un bambino che sorride invece di piangere quando entra in terapia è già un successo».
Ma Schena ha evidenziato anche un nodo cruciale: la carenza di personale qualificato. «In Campania ci sono pochissimi corsi di laurea in logopedia e psicomotricità. Non riusciamo a garantire la presa in carico precoce perché mancano terapisti formati. E dopo i 14 o 15 anni molti ragazzi restano senza riferimenti. Non possiamo permettere che il percorso finisca proprio quando la crescita richiede più sostegno».
“Un tema che riguarda tutti”
A moderare l’incontro, il direttore di Corriere Università e Lavoro Mariano Berriola, che ha ringraziato la senatrice Valente per aver voluto creare questo spazio di confronto: «Mi occupo di scuola, giovani e lavoro: l’autismo è un tema che sento vicino perché riguarda la costruzione del futuro, la capacità di una società di includere tutti i suoi membri».
Un messaggio che attraversa anche il libro di De Michele, dove l’esperienza individuale si fa racconto collettivo e proposta concreta. “Il mio cammino nell’autismo” diventa così non solo una storia personale, ma un invito a ripensare il modo in cui guardiamo le persone nello spettro, superando etichette e pregiudizi per riconoscere in ciascuno una diversa forma di normalità.
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