Era il 2014 quando Papa Francesco, parlando davanti a migliaia di studenti, insegnanti e genitori riuniti in Piazza San Pietro, pronunciò un discorso che ancora oggi conserva una forza straordinaria. Un inno all’educazione, alla comunità scolastica e alla gioia di imparare. Le sue parole, semplici e profonde, restano una guida per chiunque creda nel valore della scuola come luogo di crescita e di incontro.
Una festa per la scuola, non una protesta
“Non è un lamento, è una festa!” — così esordì Papa Francesco, sottolineando che l’incontro non era una manifestazione di protesta ma una celebrazione della scuola in tutte le sue forme: statale e non statale, laica e religiosa, piccola o grande. Il Papa parlò come un uomo che ha vissuto la scuola in prima persona: da alunno, da insegnante e poi da vescovo.
Con tono affettuoso e sincero, raccontò di una maestra che gli fece amare lo studio, una donna che lo accompagnò per tutta la vita e che rappresenta, nelle sue parole, la forza silenziosa e trasformativa dell’educazione. “Lei mi ha fatto amare la scuola”, disse, ricordando come quell’incontro abbia segnato il suo cammino umano e spirituale.
La scuola come apertura alla realtà
Per Papa Francesco, la scuola è sinonimo di apertura. “Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà”, affermò. L’educazione non può essere chiusa, autoreferenziale, ma deve insegnare a “imparare a imparare”: la capacità di restare curiosi, di non smettere mai di cercare la verità.
Un messaggio che il Papa rivolse anche agli insegnanti: “Se un insegnante non è aperto a imparare, non è un buon insegnante”. Gli studenti, ricordò, sanno riconoscere chi insegna con passione, chi è mosso dal desiderio di scoprire sempre di più. L’apertura alla realtà è la prima lezione della vera educazione.
La scuola come luogo di incontro
“La scuola non è un parcheggio”, ammonì il Pontefice, ma un luogo di incontro. Un punto di contatto tra mondi diversi: studenti, insegnanti, famiglie, personale scolastico. Lì si impara a convivere, a conoscere l’altro, a costruire relazioni.
Papa Francesco ribadì la necessità di una collaborazione continua tra scuola e famiglia: due realtà che non devono mai essere in contrasto, ma complementari. Citando un proverbio africano, disse: “Per educare un figlio ci vuole un villaggio”. Un villaggio fatto di adulti responsabili, uniti dallo stesso obiettivo: crescere insieme alle nuove generazioni.
Educare al vero, al bene e al bello
Uno dei passaggi più intensi del discorso riguarda la missione educativa: formare persone capaci di riconoscere il vero, il bene e il bello. Per Papa Francesco, queste tre dimensioni sono inseparabili. “Se una cosa è vera, è buona ed è bella; se è bella, è buona ed è vera”.
La scuola, spiegò, deve offrire conoscenze ma anche valori, deve insegnare che “è sempre più bella una sconfitta pulita che una vittoria sporca”. Un messaggio di integrità e coerenza che vale dentro e fuori le aule, nella vita di ogni giorno.
Le tre lingue dell’uomo maturo
Nel finale, il Papa consegnò un’immagine potente: le tre lingue della maturità. “Una persona matura deve saper parlare la lingua della mente, la lingua del cuore e la lingua delle mani”. Pensare, sentire e agire in armonia: ecco la vera educazione.
La scuola, dunque, non è solo il luogo dove si acquisiscono nozioni, ma dove si imparano abitudini, comportamenti e valori. È lo spazio in cui la mente si apre, il cuore si allena all’empatia e le mani imparano a costruire.
“Non lasciamoci rubare l’amore per la scuola”
Il discorso si concluse con un appello che è diventato un simbolo del magistero educativo di Papa Francesco:
“Per favore, non lasciamoci rubare l’amore per la scuola!”
In un’epoca in cui l’istruzione rischia di essere ridotta a competizione o burocrazia, queste parole risuonano come un invito a riscoprire la scuola nella sua essenza più pura: una comunità viva che educa alla libertà, alla curiosità e alla bellezza.
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