Oggi, 7 ottobre, ricorre il secondo anniversario dell’attacco lanciato da Hamas nel 2023 contro Israele — un evento che ha segnato l’inizio di un conflitto che continua a provocare vittime, sofferenze e tensioni diplomatiche.
L’attacco del 7 ottobre e le sue conseguenze
L’azione di Hamas del 7 ottobre 2023 — nota come “Operazione Diluvio al-Aqṣā” — ha colto Israele di sorpresa con una combinazione di razzi, incursioni terrestri e attacchi multipli nei territori vicini alla Striscia di Gaza.
In quel giorno furono uccise circa 1.200 persone, tra civili e militari, e circa 250 furono rapite e portate come ostaggi a Gaza. Uno degli episodi più tragici fu il massacro al festival musicale Supernova, dove decine di partecipanti vennero sterminati e altri presi come ostaggi. L’attacco ha provocato una svolta: Israele ha lanciato un’offensiva militare su larga scala nella Striscia di Gaza, con l’obiettivo dichiarato di neutralizzare Hamas e liberare i prigionieri.
Due anni di guerra: numeri, vittime e situazione attuale
Dopo 24 mesi di conflitto, il bilancio è tragico:
- Secondo le autorità di Gaza, le vittime palestinesi superano le 67.000 persone.
- Gran parte della popolazione è stata sfollata più volte; le condizioni umanitarie sono gravissime, con carenza di cibo, medicina, acqua e infrastrutture distrutte.
- In Israele, il trauma dell’attacco rimane forte: memoriali spontanei, case bruciate e famiglie che rivendicano il ritorno degli ostaggi continuano a restare visibili nel paesaggio pubblico.
- Dei circa 250 ostaggi rapiti, ancora decine restano nelle mani di Hamas. Le trattative per il loro rilascio restano una delle questioni centrali del conflitto.
I negoziati in corso e le speranze
Proprio in coincidenza con questo anniversario, si sono avviati round indiretti di colloqui a Sharm el-Sheikh, mediati dall’Egitto, con la partecipazione di interlocutori Usa e arabi. L’obiettivo è definire uno scambio di prigionieri, stabilire un cessate il fuoco a lungo termine e discutere del disarmo di Hamas. Secondo fonti egiziane e mediatrici, la prima fase dei negoziati si è chiusa “in un clima positivo”. Tuttavia, questi colloqui restano fragili: le parti sono distanti su molti aspetti (status di Gaza, modalità di controllo, garanzie internazionali) e ogni progresso è condizionato da fasi successive complesse.
Aspetti critici e sfide aperte
Grave emergenza umanitaria
La Striscia di Gaza ha subito danni massicci: abitazioni, ospedali, scuole ed edifici pubblici sono stati distrutti o resi inagibili. Le statistiche satellitari mostrano che circa il 92–93% degli edifici ha subito danni nei primi mesi del conflitto.
Accuse e processi internazionali
Organizzazioni per i diritti umani e alcuni Stati hanno accusato Israele di crimini di guerra e addirittura di genocidio, contestazioni che Tel Aviv respinge, sostenendo che le sue operazioni sono misure di autodifesa. La Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso mandati di arresto nei confronti di figure israeliane coinvolte nel conflitto, un episodio che ha ulteriormente polarizzato le relazioni internazionali.
Divaricazione interna in Israele
All’interno di Israele, l’evento del 7 ottobre ha lasciato ferite profonde anche politicamente e socialmente. Alcune famiglie delle vittime hanno organizzato memoriali indipendenti dal governo, esprimendo disappunto per l’assenza di progressi significativi nel rilascio degli ostaggi. La pressione sul governo è alta, con proteste settimanali e crescenti richieste di responsabilità sul fronte diplomatico e militare.
Il significato simbolico dell’anniversario
Questo giorno funge da punto di riflessione: non solo un ricordo delle vittime, ma anche un metro per misurare il divario tra speranze e realtà.
Molti vedono nel secondo anniversario l’occasione per rilanciare gli sforzi diplomatici, ma resta forte lo scetticismo sul fatto che le parti possano trovare compromessi duraturi. Per la comunità internazionale, l’evento rappresenta anche una chiamata alla responsabilità: garantire che il principio del diritto umanitario prevalga e che le popolazioni civili non continuino a essere il perno su cui si consuma il conflitto.
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