Come riporta L’Eco Vicentino, da Montecchio Maggiore arriva una lettera speciale: una maestra oggi in pensione ha voluto condividere con i lettori un messaggio di augurio e riflessione per l’inizio del nuovo anno scolastico. Le sue parole, ricche di affetto ed esperienza, ricordano quanto la scuola sia un luogo di crescita, accoglienza e comunità.
Cari ragazzi, cari insegnanti, care famiglie,
domani si riaprono i cancelli della scuola, e anche se io non varcherò più quella soglia con il registro sotto braccio, il mio cuore ci entra lo stesso. Perché una maestra lo è per sempre. Non per mestiere, ma per vocazione. E oggi, come altre volte in passato, sento il bisogno di scrivervi, di augurarvi un buon inizio, ma anche di lasciarvi qualche pensiero che viene da una vita intera tra banchi, quaderni e volti che mai dimentico.
La scuola di ieri aveva il profumo del gesso e delle cartelle di cuoio, dei grembiuli stirati e delle merende semplici. Era fatta di sguardi attenti, di rispetto quasi sacro per chi insegnava, e di una comunità che si stringeva attorno ai suoi bambini. Oggi è diversa, certo: più veloce, più complessa, più esposta. Ma il suo compito non è cambiato. Deve essere, oggi più che mai, un luogo di accoglienza vera. Non solo per chi è “bravo”, non solo per chi è “facile da gestire”, ma per ogni ragazzo, con le sue fragilità, le sue domande, i suoi silenzi.
Essere insegnanti non è un lavoro. È una missione. E non è per tutti. Richiede pazienza, dedizione, amore profondo per l’essere umano in divenire. Richiede occhi che sanno vedere oltre il voto, oltre la difficoltà, oltre la maschera che ogni ragazzo a volte indossa per proteggersi. Non servono guru della didattica, né giudici severi. Serve il ritorno alla semplicità delle discipline, alla bellezza di una poesia letta insieme, di un problema risolto con pazienza, di una domanda lasciata aperta. Serve uno sguardo sul mondo, non per emettere sentenze, ma per insegnare ai ragazzi a osservare, a pensare, a scegliere.
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