Cos’è la settimana corta
La settimana corta è un modello organizzativo che prevede di ridurre i giorni lavorativi da cinque a quattro, mantenendo invariata la retribuzione. Non si tratta però di un’unica formula: esistono diversi modi di applicarla. In alcuni casi le stesse ore vengono compresse in quattro giornate più lunghe. In altri, invece, si riducono davvero le ore settimanali, passando da 40 a 36 o 35, senza intaccare lo stipendio.
Un capitolo importante riguarda lo smart working, che può integrarsi con la settimana corta. Sempre più aziende valutano formule ibride in cui una parte del lavoro viene svolta da remoto. Questa modalità riduce i tempi di spostamento, abbassa i costi per i lavoratori e ha un impatto positivo anche sull’ambiente, diminuendo traffico e inquinamento. Non è solo una questione di comodità: studi dimostrano che, se organizzato bene, lo smart working migliora la produttività e riduce l’assenteismo.
Le esperienze internazionali
All’estero la settimana corta è già stata testata con risultati interessanti. In Islanda, tra il 2015 e il 2019, oltre 2.500 lavoratori hanno partecipato a una sperimentazione che ha mostrato maggiore benessere, minore stress e una produttività stabile.
Nel Regno Unito, una delle prove più ampie a livello mondiale ha coinvolto centinaia di aziende: oltre il 90% ha scelto di mantenere la settimana corta anche dopo la fase di test. In Giappone, Paese conosciuto per i suoi ritmi frenetici, alcune amministrazioni pubbliche hanno ridotto i giorni di lavoro per favorire un miglior equilibrio tra vita privata e professionale e per contrastare il calo demografico.
Questi esempi dimostrano che la settimana corta non è più un’utopia, ma un modello che può funzionare in contesti molto diversi.
La situazione in Italia
In Italia il dibattito è aperto da tempo. Alcuni partiti, tra cui Movimento 5 Stelle, Partito Democratico e Alleanza Verdi e Sinistra, hanno presentato proposte di legge per introdurre la settimana corta. Tuttavia, la Ragioneria dello Stato ha bocciato i progetti giudicandoli troppo costosi per le finanze pubbliche.
Nonostante gli ostacoli normativi, alcune aziende hanno deciso di muoversi in autonomia. Intesa Sanpaolo ha avviato sperimentazioni in alcune filiali. Luxottica ha offerto a circa 600 operai 20 settimane di lavoro ridotto. Lamborghini ha introdotto un orario settimanale di 33,5 ore, mentre Lavazza ha lanciato il “venerdì corto” per circa 400 dipendenti.
Il tema è arrivato perfino in Parlamento: una proposta chiedeva di eliminare il venerdì di lavoro per i deputati, spostando interpellanze e interrogazioni al giovedì. Il dibattito, però, è stato rinviato.
Vantaggi e criticità della settimana corta
Tra i vantaggi principali della settimana corta ci sono un migliore equilibrio tra vita privata e professionale, la riduzione dello stress e dell’assenteismo, ma anche un aumento della produttività. In molti casi i dipendenti si dichiarano più motivati e concentrati, sapendo di avere un giorno libero in più.
La riduzione dei giorni lavorativi ha effetti positivi anche sull’ambiente: meno pendolarismo significa meno traffico e minori emissioni di CO2, oltre a un risparmio energetico per le aziende.
Dall’altra parte, non mancano le criticità. Comprimere le ore di lavoro in meno giorni può comportare ritmi più intensi e stancanti. Per le piccole e medie imprese, inoltre, il modello potrebbe risultare economicamente insostenibile senza un sistema di incentivi. Non è un caso che, al momento, siano soprattutto le grandi aziende a sperimentare.
Settimana corta: opportunità o privilegio per pochi?
La settimana corta rappresenta senza dubbio una delle sfide più interessanti per il futuro del lavoro. Se da un lato i benefici in termini di benessere e produttività sono già stati dimostrati in diversi Paesi, dall’altro la sostenibilità economica in Italia resta un nodo difficile da sciogliere.
La domanda resta aperta: la settimana corta diventerà un nuovo standard o rimarrà un privilegio di poche aziende all’avanguardia?
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