La lunga pausa estiva delle scuole italiane – 14 settimane, tra le più lunghe in Europa – può sembrare un’opportunità di riposo e svago. Ma per molte famiglie è anche un momento critico, in cui le differenze sociali si trasformano in divari educativi. A dimostrarlo è il cosiddetto effetto rubinetto, una teoria sviluppata da tre ricercatori della Johns Hopkins University di Baltimora: Doris R. Entwisle, Karl L. Alexander e Linda Steffel Olson. Il loro studio, durato oltre vent’anni e condotto su un campione di studenti di venti scuole pubbliche a Baltimora, ha dimostrato che la vera crescita del divario scolastico non avviene durante l’anno, ma nei mesi estivi.
Cos’è l’effetto rubinetto
Secondo lo studio, durante la scuola gli studenti – anche provenienti da contesti differenti – mostrano capacità di apprendimento simili.
Ma nei mesi estivi, chi ha accesso ad attività di svago, culturali, ricreative o educative continua ad apprendere, mentre altri subiscono un rallentamento o una perdita. È il cosiddetto “effetto rubinetto”: le opportunità restano aperte solo per una parte degli studenti.
Italia: una pausa lunga 14 settimane
Nel contesto italiano, dove l’estate scolastica dura circa 3 mesi e mezzo, il tema è particolarmente rilevante.
Associazioni e fondazioni che si occupano di povertà educativa sottolineano che la lunga interruzione, senza una rete pubblica diffusa di attività estive, può contribuire alla perdita di competenze e all’ampliamento del divario educativo, soprattutto nei contesti fragili.
Proposte e modelli
In Alto Adige, si discute la possibilità di tenere le scuole aperte anche a luglio, con laboratori e attività accessibili per le famiglie.
Negli Stati Uniti, la pausa è più breve e spesso accompagnata da summer school pubbliche e attività scolastiche estive. Secondo i ricercatori, “l’apprendimento è un processo continuo e multifattoriale”, e proprio nei mesi estivi si gioca una parte importante del percorso formativo degli studenti. L’estate non ha lo stesso significato per tutti. Riconoscere e contrastare l’effetto rubinetto – secondo lo studio della Johns Hopkins University – può essere un primo passo per costruire una scuola più equa, anche fuori dalle aule.
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