Professoressa Catarci, come lo spiegherebbe il mondo dell’ingegneria informatica? Cosa si studia in questo corso di laurea?
Beh, anzitutto si studia la scienza della risoluzione dei problemi, che è un po’ il cuore dell’ingegneria informatica. I ragazzi imparano soprattutto il pensiero computazionale e tutte le strategie, le tecniche per risolvere problemi di ogni tipo.
Questo è particolarmente importante oggi, in un momento storico in cui il digitale è pervasivo ovunque. Praticamente, gli ingegneri informatici servono dappertutto, possono lavorare in qualunque ambito, in qualunque settore che li appassioni.Nel senso: uno è appassionato di agricoltura? Bene, c’è tutta una parte dell’ingegneria e dell’intelligenza artificiale che si occupa, ad esempio, di agricoltura sostenibile, di sistemi intelligenti, di droni, della gestione personalizzata delle colture, addirittura sulla singola pianta.
E tutto questo è possibile, appunto, grazie a queste competenze.
È una vera rivoluzione delle professioni, che richiede saperi e competenze nuove.
Sicuramente chi possiede competenze digitali – e in particolare una formazione in ingegneria informatica – è oggi avvantaggiato e merita di essere considerato in prima posizione. Il settore digitale, infatti, è protagonista della rivoluzione che sta trasformando il mondo ed è in grado di guidare l’innovazione. Chi non dispone di queste competenze dovrebbe innanzitutto informarsi e prendere coscienza di ciò che sta accadendo — sia negli aspetti positivi, sia nei potenziali rischi — ma sicuramente non ha la stessa spinta per diventare un protagonista o una protagonista.
Uno studente che non ha fatto il liceo, ma un percorso tecnico-professionale ha chance o deve rinunciare?
Assolutamente nessuna rinuncia. Chi ha lacune dovrà recuperare, certo, ma l’università mette a disposizione strumenti e crediti formativi per mettersi in pari.
Se un ragazzo o una ragazza hanno una passione secondo me devono seguire quella passione qualunque essa sia.
Qual è il suo consiglio a chi non ha ancora una passione definita?
Se si ha una passione, seguitela. Ma se non si sa, considerate che l’ingegneria informatica offre grandi vantaggi: competenze fondamentali, occupazione garantita quasi al 100%, stage già dal secondo anno e opportunità di lavoro durante il corso di studi.
Molti lavorano già e si laureano in ritardo per impegni professionali?
Sì. Le aziende fanno scouting già in Triennale: tanti studenti scelgono di lavorare, e questo significa stipendi di ingresso fra i più alti sul mercato.
Quali sono le materie di studio nei primi anni? Quali difficoltà incontrano i ragazzi?
Il primo anno comprende certamente gli insegnamenti base come matematica, fisica e subito i corsi di programmazione e intelligenza artificiale. Nella Laurea Magistrale ci si specializza: cloud computing, basi di dati, machine learning, gestione delle informazioni, e così via. Il passaggio dalla scuola all’università richiede di abituarsi a un impegno autonomo e al rigore matematico, ma il supporto dei tutor e dei laboratori aiuta moltissimo.
Ci parli un po’ di “gestione delle informazioni” e del suo ruolo nell’intelligenza artificiale.
I dati sono il punto di partenza: vanno acquisiti, puliti, modellati, memorizzati e utilizzati nelle applicazioni.
Le basi di dati tradizionali coesistono con i sistemi avanzati di machine learning. L’information discovery è la scienza di estrarre conoscenza dai dati: previsioni di mercato, analisi di cicli economici, riconoscimento di immagini in ambito medico…
Senza dati non esisterebbe il machine learning.
In medicina, per esempio, l’AI è già utilizzata per diagnosi dalle immagini…
Sì: gli algoritmi addestrati su milioni di immagini imparano a classificare le patologie con precisione sorprendente.
Rimane però fondamentale l’intervento del medico: l’AI supporta, non sostituisce.
Un tema interessante è il “robot journalism”: al Washington Post quattro giornalisti hanno addestrato sistemi per produrre articoli…
È un dibattito molto stimolante. La qualità dei dati e delle fonti è cruciale: i modelli di linguaggio possono “allucinare”, ossia fornire informazioni false o inventare citazioni. Serve senso critico e verifica umana per evitare errori gravi, come un avvocato che citò un precedente inesistente.
Questo ci porta alle “soft skills”: autonomia, pensiero critico…
Sì, le competenze trasversali sono essenziali: il senso critico protegge da fake news e condizionamenti.
L’università deve fornire anche questi strumenti di difesa digitale.
L’università è il luogo d’eccellenza per formare le future risorse umane. Ma si parla ancora di fuga dei cervelli: cosa potrebbe fare il Governo per trattenere i giovani talenti?
Occorre premiare il merito e valorizzare le competenze. Se un ricercatore trova all’estero uno stipendio quattro volte superiore, va via, a meno che non abbia vincoli familiari? In Italia la burocrazia soffoca la ricerca e l’università: serve meno iter amministrativi e più agilità per attrarre e trattenere i migliori.
Quando ha capito che la sua strada era la ricerca scientifica?
Sin da bambina amavo la matematica e la risoluzione dei problemi.
Inizialmente pensavo di studiare matematica pura, ma presto ho scoperto l’informatica in Ingegneria Elettronica: è stato amore a prima vista. Ho fatto il dottorato e poi ho intrapreso la carriera accademica, complice anche l’ispirazione del rettore Ruberti, grande docente e didatta appassionato.
Un consiglio finale ai ragazzi e alle ragazze in procinto di scegliere il percorso dopo il diploma?
Ragazze, siete naturalmente portate al problem solving, e i numeri delle iscrizioni lo dimostrano: venite ad Ingegneria informatica! Ragazzi e ragazze, studiate ingegneria informatica se volete cambiare il mondo, farete un lavoro interessante, divertente e vario in qualunque settore: le competenze digitali faranno di voi i protagonisti del futuro.
Leggi anche altre notizie su CorriereUniv





