La lamina d’oro. Armstrong non volge il viso verso il Sole per non rischiare di rimanere accecato, nonostante la lamina d’oro del suo casco gli garantisca una buona protezione. L’astronauta non cammina ma quasi striscia per paura di perdere l’equilibrio. La prima cosa che fa è raccogliere ‘ciottoli’, rocce, pietre lunari da portare a Terra per far sapere al mondo com’è fatta la Luna. Dal satellite celeste gli astronauti portano indietro circa 30 chili di frammenti lunari scelti accuratamente da Armstrong esperto geologo.
Passeggiate lunari. Appena Neil si assicura che tutto procede bene, dalla pancia di ‘Aquila’ scende anche Aldrin. Il suo impatto con la Luna lo affronta con un passo deciso. E a Houston scoppia un applauso liberatorio. La loro prima permanenza sul satellite celeste dura due ore, quindici minuti e dodici secondi. Quando Armstrong mette piede per la prima volta sulla Luna, in quel preciso momento, ben 600 milioni di persone hanno gli occhi puntati sul televisore, collegati con la Nasa da ogni angolo del mondo.
Uno sforzo sovrumano. Dietro questo storico passo di Armstrong c’è il lavoro di 400mila tra tecnici e scienziati dell’ente spaziale statunitense. Per affrontare la missione, gli Usa hanno investito 240 milioni di dollari di allora, il costo di circa due mesi di guerra in Vietnam. Ma, sopratutto, c’è la rivincita di un intero Paese, guidato in quel momento dal presidente Richard Nixon.
La “rivincita” degli Usa. La missione, però, è il frutto della granitica volontà di un altro capo di stato americano. Ad annunciare che ci sarebbe stata una missione Apollo 11 era stato, il 25 maggio del 1961, l’allora presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy. John Kennedy, infatti, non ha per niente digerito il primato del primo uomo nello spazio, Yuri Gagarin, conquistato il 12 aprile 1961 dall’allora Unione Sovietica. Così, appena un mese dopo il volo di Gagarin, JFK giura al mondo che sarà a stelle e strisce la prima bandiera piantata da un uomo sulla Luna. E così è andata.